L’aureola solare appariva già offuscata ancor prima del suo far capolino sulla linea del’’orizzonte, a Est; e non prometteva nulla di buono.
In un clima di silenzio pietrificato, e rumoroso e assordante quanto insolito e tenebroso per la mancata emissione di NOTAM sulla possibile riduzione dei servizi ATC al traffico aereo generale e appesantita da rassicuranti dichiarazioni in video, e a mezzo stampa, di alti rappresentati ministeriali che nulla di significativo sarebbe accaduto, iniziava una giornata campale; e non solo per i controllori del traffico aereo.
Era il 19 Ottobre del 1979.
Sordi attori istituzionali, forza armata (AM) e titolari della relativa funzione terminale d’istituto adottavano maschere di scena su una quinta dove nulla era davvero ciò che sembrava; fu inevitabile il collasso della struttura portante con conseguente caos direttivo e gestionale; indelebile restò il trillo dei telefoni e intonso il gracchiare delle ricetrasmittenti nelle sale operative, e mai mancarono le dovute “risposte”; il resto silenzio peso. Accadde di tutto e di più, ma non si manifestò alcuna espressione parossistica; non si registrò alcun “accident,”ma non mancarono degli “incident” che restarono sommersi sotto il cumulo di cenere del giorno infuocato. E non è cosa di poco conto, altre parevano essere le priorità: in primis, la caccia alle ”streghe”; matrice per altro già collaudata e sperimentata in precedenza su una “base” di comodo, e precostituita a tavolino, creando un effetto fumogeno che dissimulava la realtà.
A quarant’anni di distanza resta viva l’immagine del vissuto, in diretta e in frequenza, dell’inaudita
turbolenza ed è raccolta in Francobolli del tempo: 19 ottobre 1979; una pleiade di ricordi.
Raccontare Il passato aiuta a comprendere il presente e condiziona, sempre positivamente, l’architrave del futuro; conoscerlo, e rileggerlo, pare sempre utile e funzionale; pare sempre buona ragione, non la ragione.
E la buona ragione del Controllore del Traffico Aereo di allora si riversò in una arrampicata, senza funi di sicurezza, alla ricerca di una dignitosa soluzione al variegato stato di precarietà, prevalente e persistente, del proprio rapporto di lavoro, delle relative funzioni e della propria identità professionale. E non fu azione priva di sofferenza e amarezza verso la forza armata; e l’azione dirompente fu ineluttabile; ma fu buona malia, e la nuvola della speranza non si dissolse. Permane sempre incomprensibile il riscontro di un’ottusa avversione all’ascolto, inanellata da troppi, delle rimostranze pacate e antecedenti, derubricate come fossero quelle di un gregge di rane gracidanti al chiaro di luna a spasso su un felpato guanciale azzurro.
Ma non si trattava di una famiglia di Anuri e, tanto meno, di guanciale felpato: era semplicemente una “famiglia” un po’ disorientata dalla guida di genitori in ipossia e con bulbo oculare ancora sano ma trattato con atropina, in auto medicamento e senza prescrizione medica, che non permetta loro di vedere le cose con nitore. Una cosa è certa: in quel dì, e da quel dì, è emersa con forza dirompente una diffusa subsidenza dei valori percepiti come doveri; e ha intaccato tutti. Poi ogni selezione di merito è lasciata alla libera e individuale capacità di intendere del lettore: revolution ??? evolution ???
19 ottobre 2019
Allegato
Francobolli del tempo: 19 ottobre 1979: (by ATC Batter)
Blind transmission on VHF radio 121.5 MHz. “ …. cose sulle quali s’ha da investigare gli eventi della giornata; e del seguito”. (rife: Guicciardini; Cutinelli - Rèndina; A. Manzoni; U. Eco; C. Sgorlon; M. Giannin; O, Fallaci)
Tempesta in aria chiara
Paiono ricordi incanalati su un sentiero ormai screpolato dal tempo e da un comodo riporre in più oscure latebre: Venerdì, 19 ottobre 1979.
Ma non è così per tutti. I ricordi, nel loro insieme, recano si la testimonianza dell’assillo per la fondatezza di ogni nota, e dei dubbi continui che persistono, ma rappresentano indicazione ritenuta necessaria per risolverli: fatti e vicende così come sono comprese e vissute; e non manca il piacere saporoso di sottrarli alla rovina del tempo. Ricordi di fatti concreti, note di cronaca e ripercussioni pesanti per l’utenza e per i protagonisti di una azione eclatante giunta a maturazione sotto gli occhi di tutti, già nota a tutti, e che nessuno ha saputo, e voluto, assumersi la paternità e la guida di una gestione, alla luce del sole, efficace; un non voler vedere ciò che era visibile a occhi chiusi; un vero obbrobrio istituzionale; una deprecabile metamorfosi dell’arma azzurra, e delle istituzioni, che, poi, si è trascinata per anni e anni all’insegna di un orgoglio ormai defunto, puerile e difficile da difendere e giustificare; un monumento di idee ed espressioni confuse dove non mancava nemmeno chi voleva confonderle per fini suoi. E bastava ben poco per assopire l’accaldato manifestarsi di un disagio reale e creare le basi di una azione evolutiva ragionata; ma anche quel poco mancò e il tutto degenerò in un turbinio di azioni non proprie. Oggi è una cartolina del passato ma, se affrancata con il lessico mediatico ricorrente, si avvilupperebbe con facilità su una similare struttura portante di architettura morandiana e sulle relative relazioni di Comitati tecnico-amministrativi del Provveditorato alle opere pubbliche, e del seguito; e non manca nemmeno un annullo speciale legato al recente caso della nave “Diciotti” della Guardia Costiera (2018;, e poi ancora altri, purtroppo, a seguire.
Un mix di necessità inevase, funzioni istituzionali evanescenti e alla deriva; e così appare perché non si trovano le veline di presunti ordini mai ordinati: burocrazia miope, interessi di parte e politica auto referente impantanata in uno strato melmoso di pura ideologia; e, poi, un esondare di spavalda altezzosità, direttiva e funzionale, completa la scenografia. E ogni effetto binario, in proiezione, appare ricco di una devastante metamorfosi gestionale in copia conforme; un revival non certo gratificante, ma così è; e oggi, 2019, cosa succede all’interno delle Forze Armate, chiamate in causa ma senza “causa”?
Disorientate le linee di comando che perdono la logica del naturale riferimento ministeriale senza comando credibile; effervescente il sottocomando movimentato, ancora, da forze in ombra; come nel 79.
Intrighi capziosi e segreti di Pulcinella
Poi si tesse un cavilloso ordito dal sapore “penale” annodato, a tempo, su una trama amministrativa
relativa a fogli di viaggio, per annebbiare figure, non certo apicali, chiamate a rappresentare lo “stato di fatto” a seguito dell’evento principe. A seguire le storielle dei “segreti”; e nel nostro contesto del segreto di Stato fatto pesare sulle operatività degli aeroporti di “allarme” (rife LIMN) condizionando, in modo improprio ed inutile, le operazioni ATC indirizzate al traffico generale. Perché mantenere attivo un “corridoio”, penalizzando centinaia di voli civili senza motivo, sulla base di un ipotetico decollo di intercettori quando era certo che gli intercettori non erano “attivi” e che Il servizio di Controllo del Traffico Aereo Generale era affidato, e garantito, a una struttura operativa dello Stato? Io “disubbidivo” spesso …aggiravo l’ostacolo formale e adottavo un coordinamento succedaneo, quasi coercitivo, che impagliava una “difesa” non sempre in-difesa … e tagliavo e accorciavo”. Il tutto nasceva da incomprensibili posizioni assunte da chi vestiva incarichi operativi intermedi quali responsabili di ciò che della RIV (Regione Informazioni Volo LIMM) era rimasto e/o sopravissuto. Un obbrobrio di stampo istituzionale, in campo AM, che disconosceva, di fatto e per partito preso, la nuova gestione dello spazio aereo affidata alla nuova struttura civile e mal digeriva di dover accettare la “delega” di gestire gli spazi funzionali alla difesa, mai negati e mai condizionati al traffico generale quando motivati. Un imperativo di “difesa aerea” da garantire,
e sempre garantito, ma non per questo blindato da un “segreto” di Pulcinella, deleterio, controproducente e senza alcuna contropartita positiva e per la Difesa e per lo Stato, quando il decollo su “scramble” maturava da “azioni e informazioni” frutto di una integrazione di dati condivisi, e complementari, fra ente civile e AM . E tutto dilagò per anni e anni con la compiacenza di troppi saliti, senza fatica alcuna, sul nuovo scafo per aggrapparsi al suo ipotetico e lusinghiero sartiame dal dolce sapore di arra, inizialmente utopico, poi …..; troppi i silenzi; assurde le accettazioni; deplorevoli i comportamenti non conformi.
Disfunzioni temporali e metamorfosi del sistema ATC
Inaccettabile il discrimine, poi, dei “ritardi” (copiosi), lamentati prevalentemente dalla voce, forte, del vettore di bandiera, addebitandoli, indistintamente, al sistema ATC anche quando era palese la
manifestazione di una inadeguata disciplina operativa prevalentemente a capo della compagnia e, poi, del gestore aeroportuale (es. volo Linate/Mosca RWY 18, operazioni de-icing, spazzamento neve, imbarchi, ect. ect.); una manifestazione superba di menti che agivano (e forse agiscono), senza capire, arroccate su un declivio vistosamente franoso, e avviticchiate in ombre che venivano dal nulla e andavano verso il nulla; e pur di galleggiare, fra il secondo e terzo millennio, si sottoscrivevano accodi per accaparrarsi “grazie” promettendo “grazie” ( sconti tariffari in cambio di benevoli attenzioni dedicate): un mercimonio stomachevole rigettato, spontaneamente, da pochi. Mai una analisi seria e capillare sui ritardi; solo dichiarazioni di parte e, spesso, improprie; e non mancavano silenzi assordati di chi aveva il dovere di spiegare e chiarire; e riemergeva il nulla; il nulla.
Disfunzioni direttive e populismo esasperato
Sul proscenio, apparentemente diviso a settori, si sviluppava poi una plurima rappresentazione direttiva, figlia di una arroganza ereditata, che creava ancora danno alla comunità in nome e per conto di una perversa interpretazione di dispositivi e norme legate alla conduzione di un Commissariato e di una Azienda Autonoma. Situazione complessa e raggomitolata in fretta che, in un baleno, divenne fomite di arbitrarietà funzionale inaccettabile: prima un “travaso”, di persone e cose (beni), intriso di becero populismo e di gran lunga superiore alla bisogna del momento, poi nuove assunzioni, alcune ancora “populiste” e altre macchiate da un degenerativo trascinarsi di contrapposizioni fra organi istituzionali blindati da una cieca ideologia burocratica; e nell’intermezzo, ancora all’insegna della stessa matrice, una scomposta revisione di titoli professionali e una altrettanto scomposta azione di professionalizzazione ad ogni costo e
omnicomprensiva. E il vertigo non fu solo “azzurro”; anche le corporazioni, in qualche modo organizzate, hanno agito in proprio, e senza soluzione di continuità, contando su una inesauribile fideiussione dello sponsor politico di riferimento che facilitava anche l’incasso di “cambiali” a suo tempo sottoscritte da occasionali prestatori di firma; e il giochino continua. E’ la storia che necessita essere visitata in ogni sua piega rimasta in ombra; è la storia del nuovo Controllo del Traffico Aereo “nato” da quel dì del 19 ottobre 1979; è la matrice storica dell’ ENAV di oggi, portatrice sana anche di difetti genetici, trattabili se individuati in tempo utile, sia come evoluzione da “Commissariato” a “Azienda Autonoma” a “Ente” e a ”Società per Azioni”, sia come “mission” arricchitesi di recente.
D-day
Giornata drammatica quel “19” sotto il profilo istituzionale, e per chi assolse “in frequenza” a tutte le funzioni demandate, sotto il profilo operativo, abbandonato a se stesso e privato di ogni conforto e supporto direttivo; le funzioni di comando intermedie, sembravano espressioni dettate da un latente stato letargico e indirizzate solo a salvare la faccia; i superiori referenti, per lo più vaneggianti e in “fuga” apparivano allergici ad ogni azione direttiva (operativa) propositiva; un frenetico immobilismo che si arrovellava su un nulla esausto; un folto rovinoso avviticchiato da erbe parassite; un allucinante negazionismo di ruoli e status che non poteva, e non doveva, essere partecipe di controversie operative.
Non si doveva, di certo, assecondare le richieste, comunque formulate, ma era opportuno ascoltare; ma non si ascoltava; non si voleva ascoltare (prerogativa, decisamente negativa, tramandata alla nuova organizzazione e mantenuta in vita per decenni, certamente fino al 30 novembre 2005); già statue di sale a contemplare l’incendio di Sodoma e Gomorra e la migrazione di Lot verso una nuova terra promessa; un buio lacerante che pareva ombra dell’8 Settembre del non lontano passato remoto.
Giudizi compulsivi e trattamenti ad personam
Poi un orgoglioso rigurgito, marchiato AM, espressione di un primitivismo culturale: la scure del giudizio di merito, individuale; ovvero, per chi ne fosse a digiuno, delle “note caratteristiche”, molte anche fuori tempo, propedeutiche e funzionali all’avanzamento di “grado”, anche se ormai depotenziato e non più significativo sotto il profilo funzionale, visto la già avviata procedura di congedo sistemico per confluire in una diversa organizzazione; ma allo “spirito” fa male, fa molto male. Già in un non lontano pozzo del passato ( primi anni ’70) si pescò con la stessa metodologia e su non pochi addetti ( Charlie § Mike, due per tutti) calò una rete impietosa e dagli effetti decisamente più devastanti: si imbastirono azioni delegittimanti, frutto di conclusioni affrettate e subdole, su una trama e un ordito ipocrita e filisteo non immune da perfidia; fu azione brutalmente inanellata, propedeutica alla interruzione del rapporto di dipendenza con AM alla prima scadenza utile applicabile, da superiori diversamente “superiori”, auto referenziati e farciti di smisurata supponenza, che imperavano in altezzosa simbiosi in Area Lombarda.
Dopo il manifestarsi del 19 Ottobre non si mancò neppure di gratificare qualche figliol prodigo, dichiaratosi disposto ad accettare ancora la famiglia d’origine, lasciando ampio spazio ad accomodamenti ad personam, nonostante le dimissioni dalle funzioni ATC precedentemente presentate per tentare di forzare un pretesa.
Un mercato tipico del suk: concedere, convinti di non cedere, per soddisfare ai desiderata, mantenendo intatto il “vestire” e immacolato il giudizio. E così alcune dimissioni precedenti, e anche alcune datate Ottobre 1979, furono sottoposte ad un processo di sublimazione, previo accordi e concessioni duali (do ut des), ovvero come dicono a Napoli:< Io do ‘na cosa a te, tu dai ‘na cosa a me>; anche se la “cosa” aveva un indirizzo prevalente: il Tevere; non si escludeva il guado del “Volturno” ma erano predilette le aree di golena del “divino”; una volta lasciato il Po’ alle spalle con prua Sud era sempre una conquista. E’ l’aquila reale che cede il potere del suo richiamo al tarabuso. Ecco entrare in gioco ”l’accountability”, ovvero la credibilità di una forza responsabile; metodologia deficitaria, foriera di consensi sporadici e limitati, frutto di interpretazioni occasionali favorite da una stato letargico in ipossia.
Coscienza professionale
Ma impegno e dignità non hanno mai subito alcuna alterazione anche a fronte di ingrati giudizi e di
manifestazioni tipiche di un mercimonio. Poi, si è visto come i soggetti cataloganti “inferiori alla media”, secondo le valutazioni di merito, postume, dell’A.M., abbiano risposto, quel giorno, e in seguito, alle esigenze operative; e sul “vedo retro” pure. Non c’è alcun sentimento avverso; c’è solo commiserazione verso quegli “addetti” che, loro malgrado, furono indotti ad interpretare un “disegno” propinato da una presunta normativa datata, logora, evanescente e che non concedeva spazio ad alcuna evoluzione di funzione maturata nel tempo e all’impegno profuso; il superiore andava “ascoltato” anche quando, di fatto, si vestiva di una divisa avviluppata, e pronto a riporla in soffitta, e continuava a sentenziare giudizi da uno scranno traballante e senza prospettive future se non evanescenti, disarticolate e riduttive sotto il profilo professionale. Questo era il “mondo”, tinto di azzurro, di quegli anni; mondo ottenebrato. Quanta amarezza! Quanta amarezza!
Sbandamenti, fermezze e compiacenze “tesserate”
Non è mancato neppure il gioco baro, e a nascondino, interpretato da qualcuno in quel fatidico giorno, in attesa del “segnale più conveniente” per trarne maggiore convenienza e sfuggire da ogni “giudizio”. Può anche non piacere, e allo scrivente non piacque di certo, ma così fu. La debolezza umana ha una forza ingestibile ed è di natura indigesta; questa strada fu battuta, poi, per anni e anni ancora (evidenti le malformazioni genetiche). Tutto ciò non ha mai intaccato il dovuto e doveroso rispetto delle dichiarazioni formulate con l’atto del giuramento prestato, in divisa, al momento delle assunzioni delle funzioni demandate, poi riformulato in veste civile e mantenuto in fede fino alla quiescenza; e la riconoscenza alla primaria istituzione della Patria, pure. E non è retorica; è un ricordare, passo dopo passo, a chi oggi pare essere preparato a “guardare in alto” ma poco attento e poco persuaso sulla necessità di guardare, prima al passato; capire e comprendere il passato aiuta ad individuare un orizzonte certo e libero da valenze presuntuose ed arroganti; solo così il futuro potrà essere migliore. E, ancora, non è affatto retorica rammentare che il seguito, cioè il postmilitare, ha utilizzato, forse per passatismo o per mera incapacità, la stessa metodologia annoverando, però, come valenza meritocratica primaria l’essere “tesserato” in funzione armonica con i tempi e capace, anche, di produrre arra senza scadenza di termini, compreso “grassaggio e scorrettezze” a spettro allargato, emerse dal galleggiamento di spavaldi accomodamenti in culle materne, a cavallo del secondo e terzo millennio; e non solo nelle acque del Tevere. Non sono allucinazioni personali ma riscontri documentati da indagini preliminari espletate da organi competenti e da effetti collaterali derivati da silenziosi e discreti soffocamenti in famiglia finalizzati a salvaguardare il sacro tempio, sulla consolare del sale, diversamente attento, intaccato da tarli ruspanti già radicati nella vecchia
cava di tufo in perenne stato di subsidenza protetta da una copertura stratificata di nubi lugubre e
fagocitante. Già, la storia! La storia di un dispenser di pasta dentifricia e di colluttori sanificanti; e fu piattaforma distorta e edulcorata per anni; una metamorfosi del consolidato per consolidare ciò che è sgradevole consolidare; vestigia di ruggine corrosiva fattasi fedele guardiana di uno scalone, quasi reale, in ambiente ormai saturo di odore e sapore di cosa stantia. Di fatto, la stessa penna e lo stesso relatore conformato, senza battere ciglia, alla nuova opportunità; distorsione, senza alcun dubbio, deplorevole ed espressione di una manifestazione apicale, spesso distratta, concepita come un fatto di natura e non di capacità; e la natura difettò; e difettò a seguire. Massimiliano, il Cencelli, appare come ideologo insignificante ed eretico, pur essendo manifesto di comoda eresia, quasi certa, sposata e potenziata dal tesserato medesimo allucinato da una istintualità perversa. Poi ad ogni atto di furbizia creativa, che crea un interesse deviato di varia natura, si tende ad accreditare valenza occasionale, non significativa; mai un ipotesi diversa. Mai. E tutto si dimentica in fretta.
Testimonianze , distorsioni e impudenze
Il “D-day della smilitarizzazione del Controllo del Traffico Aereo; “Forzature, sordità, incertezze e speranze”, “Aquile dalle penne caduche”, e altro, in tema, pubblicato da Aerohabitat (locandina ATC Batter) e già proposti in passato, possono aiutare a capire. Non c’è alcuna pretesa di vestire la “tunica” del saggio rendiconto dei fatti, secondo un profilo rigorosamente ancorato ad una valenza metodologica dell’istorismo: è semplice testimonianza del vissuto, e del conosciuto; testimonianza diretta a supporto di quattro decenni vissuti intensamente a garanzia di un servizio messaggero ed esecutore materiale, in primis, di SICUREZZA, ordine e speditezza del Traffico aereo ( fonte ICAO, Doc 4444). Le fronde moderne tendono ad enfatizzare “economia” e “speditezza”, anche a livello direttivo gestionale e comunitario, come elementi primari e fondanti, per promuovere campagne pubblicitarie con valenza economica. Non dimenticano, di certo, la “sicurezza” ma troppo spesso viene relegata, e menzionata, in subordine, foriera, nel futuro immaginario europeo, di memorabili incrementi migliorativi percentuali a più cifre (????....facce toste .. che significa ???); in seguito anche la “pubblicità nazionale” ritrova, a volte, il senso logico e funzionale dell’ordine inscindibile della “mission”; ogni subordine della “sicurezza” non è mai, mai, accettabile; non può essere accettata. E non può essere accettata la garanzia di “sicurezza delle cose di casa”, reclamando l’esistenza di procedure operative di sistema, succedanee, tese a ripristinare il “sicuro” ordine delle cose, richiamate in essere da interessati di parte o da comoda politica gestionale (parallela e,
purtroppo, subordinata), in occasione di eventi noti non certo qualificanti, e in termini di “garanzia
operativa” e di “correttezza comportamentale”, registrati nel recente passato (2001/2007); comunque in questo terzo millennio. E non può, di certo, essere accettata, ancora, quale garanzia di correttezza comportamentale, una qualsivoglia “sentenza”, di per se sempre rispettabile, già propriamente emanata in ogni grado di giudizio possibile. E non c’è ragione che tenga coerenza, sul piano funzionale, un rigetto (non accettazione), certamente legittimo sotto il profilo del diritto, di sentenza di prescrizione, quando il supporto e il sostegno materiale è strettamente avvinghiato ad apparati e corporazioni che spandono ideologia pura e manifestano uno status intoccabile e di impunità superiore a ogni limite morale; è ampiamente noto che la legge non ha confini interpretativi e che ogni borderline ha traccia opalescente.
A seguire, poi, anche un esondare di spavalda e malcelata impudenza, sbocciata in spontanea
autocertificazione all’alba del 5 maggio 2007 in area Lombarda (LIMM), ha evidenziato l’esistenza di presupposti non sostenibili, e per nulla gratificanti, per una professione così qualificata: un’omotetia inversa, degenerativa, con rapporto esponenziale negativo cubico; una manifesta azione, di conduzione operativa, asservita a un populismo finalizzato al mantenimento di consensi associativi e di proselitismo strisciate sulla base di furbizie coperte da una solidarietà amicale tipica del feticismo delle corporazioni storiche in contrapposizione alla nutrita concorrenza dei succedanei. E non serve rincorrere le vidimazioni elettroniche, né firme sul log di servizio, né impronte digitali, serve una semplice e sana deontologia professionale e una coscienza civica che, evidentemente, difetta: un lemma inscindibile. E così la contea della speranza si dissolve, in modo inesorabile, in uno sfasciume sconsiderato e ricco d’insostenibile boria, in una deprecabile gora fangosa da cui riemerge il fantasma ingannevole di una mai sopita arroganza imbastita di bramosia partigiana: vestire d’elettrico, pagato nella quasi totalità da altri, non può essere, mai, cosa qualificante. E, per i nuovi addetti, non è mai qualificante cavalcare l’onda populista ignorando
eventi concreti, registrati negli anni passati, senza averli vissuti; poi i meno giovani, quali partecipi
indiscussi, trovano più utile dimenticare; i più vecchi lamenta comode amnesie. E’ un vestire di un
opportunismo strisciante che coinvolge tutti e fa strame di ogni valenza deontologica.
Maculopatia ereditaria
Poi questo buttare lo sguardo sul “ recente passato”, ancora oggi, ci riserva delle sorprese a non finire, a parte interessi deviati e partecipazioni improprie: ancora a distanza di anni e anni si legge su un mensile di una associazione tinta d’azzurro, dalla tripla A, valutazioni che pescano solo online in Wikipedia, calpestano fatti reali nella loro completezza e tracciano una linea decisamente vulnerabile sotto il profilo della credibilità; pare una similitudine con le leggende sull’origine della taiga che gli uomini si erano raccontati tra loro poco dopo aver inventato il linguaggio, e quando spiegavano tutte le cose con storie immaginate; e spiace riscontrare, ancora oggi, una lettura troppo semplicistica dei fatti da una così autorevole testata.
Si cita testualmente: “… il 19 ottobre 79 gran parte del personale militare addetto all’assistenza al traffico aereo non prese servizio precipitando …. considerato gravissimo in termini disciplinari, soprattutto perché la smilitarizzazione era stata già decisa” ( n.5 Aeronautica, periodico mensile A.A.A. maggio 2016, pagina 33).
-è una offesa indirizzata a chi non era Controllore del Traffico Aereo ma partecipava attivamente
all’assolvimento delle funzioni tecniche e di supporto operativo al CTA; non era certo nelle condizioni di potersi sottrarre alle funzioni propedeutiche demandate e pertanto impossibilitato ad astenersi e/o a “dimettersi”( fatto salvo il congedo); e non ha intrapreso alcuna iniziativa ascrivibile e/o abbinabile a qualsivoglia metodologia tipica di una astensione dal servizio comandato;
-nessun Controllore del Traffico Aereo comandato di servizio, nel mattinale del 19, si “sognò” di non presentarsi in servizio: presente, secondo il rispettivo ODS, per espletare ogni funzione d’istituto a garanzia di ogni volo militare, di Stato, ricerca e soccorso ed emergenze ( sempre garantite ed espletate); attendeva “risposte”, dal competente responsabile della Forza Armata (superiore diretto), sulla impiegabilità in operazioni ATC, diverse da quelle sopracitate, in accordo alla formulata e circoscritta condizione, legata, piaccia o non piaccia, ad una “disponibilità individuale” dissociata dallo status di “categoria/ruolo” militare in essere perché mai esplicitamente chiarita; risposte mai giunte con franchezza e determinazione; e anche il responsabile diretto superiore si trovò solo, suo malgrado;
-“soprattutto perché la smilitarizzazione era stata già decisa”: affermazione fuori luogo, pacchiana, impropria e deviante. Il Controllore del Traffico Aero di allora che “conosce” un progetto credibile,
Istituzionale, per risolvere le problematiche del servizio ATC, e del suo rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione, militare o civile che sia, nella stragrande maggioranza di “complemento”, e quindi in uno “status” di perenne precariato, si sarebbe mai messo ad operare in modo così eclatante? Poi anche chi vantava uno status in spe succedaneo, ovvero senza certificato battesimale “accademico”, aveva qualche cosa da dire. Chiacchiere, solo chiacchiere, senza un supporto fondato e serio, spoglie di ogni substrato utile a disegnare la realtà; una maldestra generalizzazione e un almanaccare fuorviante degli eventi.
Certo, se ne parlava, e se ne sparlava, fuori della Istituzione; e l’Istituzione tergiversava e non disdegnava applicare il classico metodo del “correttivo disciplinare” verso chi tendeva orecchio; una postfazione di “parole parole” con cui la grande Mina, in quegli anni, trascinava un nutrito numero di insospettabili fans; il tutto pareva avviluppato ad una ennesima “lupa” e un agire da “telenovela trasteverina” da dove ne la Forza Armata ne le Istituzioni, in genere, escono, di certo, vincitrici; semplice opinione che confonde l’ordine delle cose e che dimostra una impietosa colpevolezza di coloro che avrebbero dovuto agire in “primis” se, di fatto, depositari di un reale disegno organizzativo di così vasto impatto; va da se che quel “soprattutto” è avverbio fuorviante e decisamente di troppo; un paradosso non razionale: da una premessa non vera non può che derivare un sillogismo non vero. E ancora oggi l’autorevole rivista ( n.3 Marzo 2019 pag.20 “Meteo
Pantelleria passa a ENAC”) inciampa in una sommaria citazione di Ente ( ENAC) che non “gestisce” affatto ma coordina passaggi di funzioni fra AM e ENAV.
“Il meteo di Pantelleria passa dalla Aeronautica Militare ad ENAV” così citano altri media; già le
consonanti! le consonanti! minano ancora credibilità e conoscenza. Un lapsus? Pare probabile; è certo un lampo di verità: tanta confusione su funzioni di enti e società in casa azzurra. Alla “mamma”, comunque, si concede sempre il tempo di specificare al meglio.
Ottimismo e speranza
I “ma” e i “però”, anche in forma sottintesa, sono una semplice rappresentazione sistemica di un finale, che può non trovare la quadra, nonostante i quarant’anni trascorsi dagli elementi evocati, tragici e salutari.
Tragici e salutari? Si. Era disperato ottimismo, ma era importate crederci. E il pensiero va alle migliaia e migliaia di addetti che, in particolare nella pubblica amministrazione, ancora oggi arrancano in trattamenti di persistente precariato che rendono frustrante l’espressione professionale e le legittime aspettative; e la matassa non si sbroglia e continua ad infeltrire.
Condizioni “ambientali”atipiche e starnazzi trasteverini
Sin dall’inizio non sono mancati gli intoppi lungo un percorso spesso sdrucciolevole, e condizionato, poi, anche dal “Salario”, a sua volta sottomesso da un incipiente e continuo starnazzare di oche capitoline nate in anticipo, e in cattività, allevate in ambienti diversi e ammaestrate, comunque, ad uopo; e questo è il lato negativo del nostro “essere”, di ieri e di oggi; non mancano, comunque, aree di sosta che favoriscono una valenza positiva; e può valere la pena ricordalo ricorrendo, in parte a Epicuro, adattandolo ai nostri tempi e al nostro essere: il Controllore del T.A., libero dalla servitù delle paure e delle passioni, ha iniziato un percorso verso il nuovo, consapevole delle possibili fragilità ed incertezze che l’avvenire avrebbe potuto riservare in quanto il passato non c’era più, il futuro non era che una incognita e il presente non aveva durata. E’ noto che le cose belle sono difficili; ma non impossibili. E, nel complesso, si è trattato di cosa “BELLA”; comunque anche se non proprio con anima omnidirezionale.
Di fatto, non è mancato un contesto anagrafico, e/o funzionale già rivestito in AM, che non abbia segnato riscontro negativo, in funzione e poi in trattamento di quiescenza, nel nuovo soggetto operativo creando un disallineamento con quanto sperato; speranze e pretese fanno parte della vita; e la lettura della “nostra” vita si manifesta, spesso, in contrapposizione: per alcuni “sabbie mobili” e per altri, per molti altri, tanta “manna” edulcorata a dismisura da mani allenate. Non sono mancate neppure le classiche “ciliegine” da gustare in servizio e in pensione. Poi la casistica dei frettolosi “abbandoni” volontari per una quiescenza “certa” di fatto rilevatasi decisamente penalizzante, nonostante l’accattivante e lusinghiero specchietto di reimpiego parallelo.
Forzature, errori e garanzia di mobilità
La vicenda di quel dì si rivelò, poi, essere una azione certamente forzata e impopolare ma risultò efficace anche se inquinata da non pochi errori, e da spinte esogene, e orfana di forze paladine capaci e convincenti.
E da quel giorno, può non piacere, e non piace affatto, non manca una conflittualità continua e permanente ( ancora sicuri e continui errori), che spesso sfocia in azioni penalizzanti e per l’utenza, e per il cittadino; azioni non sempre comprensibili e spesso foriere di forzature inneggianti solo al “potere” costituito, o associativo che sia; e qui è non ci sono dubbi anche sulle azioni di sciopero quasi sempre sproporzionate e, molto spesso, strumentali. Di fatto lo sciopero è una azione che non può, e non deve, essere utilizzata come strumento primario; e in tutte le funzioni di pubblico servizio, ancora di meno. E’ una questione che intacca la cultura professionale troppo spesso declassata a fattore di puro interesse ed egoismo di parte. Forse sproporzionata fu anche l’azione del 19 Ottobre 79 ma alternative diverse non trovarono, in quel momento, ne spazio adeguato ne attenzione attendibile; ciò che si fece, e non si fece, fu chiara espressione di una insipiente politica gestionale, senza alcuna distinzione di parti. Così ieri era; così oggi, ancora, è in diversi
settori, significativi e funzionali, della Pubblica Amministrazione (es. comparto sanità, istruzione). Poi la “svendita” del primo tentativo, codificato, di “garanzia di mobilità minima”, datata ai primi anni ’80, frutto (la svendita) di mercimonio fra istituzioni intrise di politica fuorviante e fazioni associate di lavoratori, non ha certo reso un servizio lodevole, e condivisibile, alla società. Poi non è mancata, e tutt’ora non manca, una distorta rappresentazione dei media in fatto di scioperi e disservizi occasionali facendone, spesso, una commistione, in video e in voce, di competenze, responsabilità, funzioni e partecipazioni allucinante; e tutto resta immutato; e questa, purtroppo, non è cosa bella; e non è l’unica. Tutto ciò potrà anche non piacere a tutti, ma per tutti il farsene una ragione è un dovere.
Controllori del Traffico Aereo
Poi, un dovuto e convinto inciso rafforzativo: non si dimentichi che quel Venerdì, di quel lontano Ottobre, furono i Controllori del Traffico Aereo, e solo loro, a riformulare un “request” a ”Mamma Aeronautica” apparsa poco attenta e non all’altezza delle funzioni demandate. Non centrano ne “addetti” ne piazze frequentate da “movimenti” composti da succedanei auto apparentati, nonostante i ripetuti tentativi di infiltrazione, e ancor meno improprie professioni presunte parallele in seguito coniate per colorare, con fantasia, la cronaca; colorazione che, purtroppo, sussiste ancora e condiziona oltre misura anche molti addetti ai lavori, AM compresa; e questa è una valenza decisamente negativa. Soprasedere, e rinunciare, a una precisa formulazione professionale tipica, funzionale e di dipendenza, a favore di colorite e imprecise etichette non conformi, patrimonio di un comune linguaggio coniato e promosso dai media, fuorviati anche da una traccia spesso opalescente, non potrà mai essere un valore aggiunto; dunque, solo e soltanto,
Controllore del Traffico Aereo, e poi correlate proprie senza distorsioni ( AM, AAAVTAG poi ENAV e poi ENAV S.p.A., fatti salvi i vari commissariamenti in funzione propedeutica). Di certo fu non solo forzatura palese ma anche occulta (ossimoro apparente) la scelta del mese di Ottobre, padrino della rivoluzione francese, prima, e di quella bolscevica dei primi del 900’, poi, quasi a rimarcare un istinto rivoluzionario ancora vivo e capace di promuoversi con guida autoctona e forza “popolare”. La guida, poi, è risultata essere a guinzaglio di datori “stellati” e di “buchi rossi”, e la forza anche manipolata, e non di poco; un tentativo di “lezione di Bolscevismo” a tanti fuoricorso, in maggioranza non in regola con la retta annuale, perché mai iscritti e mai simpatizzanti, e un manifestare di stigma ormai prossimo al punto di rugiada; una distorsione del vero per trasformarlo in verosimile con allusioni e leganti ideologici più reali del reale: ancora un agito forzato e palese; molti annuiscono ma non si va oltre; l’espressione mimica resta orfana di ogni vocalizzazione ed è accompagnata da uno stentato labiale, viatico di un silenzio assordate; indelebile opportunismo; non c’è spazio per distinguo personali, soffocati, purtroppo, da un prevalere tipico di una
“tiratura a comando”. Ma siamo ancora a questo punto? Purtroppo sì, nonostante il passare degli anni e il perverso derubricare di ciò che è base, e fondamenta, di quanto oggi ci è dato vedere. E’ una partita atipica, senza tempo e con arbitri occasionali, a rotazione, e designati da un “fare” estemporaneo ma rigorosamente spartitivo, in cui si giocano i supplementari da quarant’anni; e nulla lascia intendere che si ricorra ai rigori: non sono previsti; e non c’è aria di sfinimento. Nel frattempo i “francobolli tradizionali” paiono essere introvabili e ogni tentativo di recapito alternativo resta impantanato, spesso, in quella marea cartacea, per lo più pubblicitaria, che tutti i giorni riempie la nostra casella postale; ma non è il caso di desistere: informare (testimoniare) è un dovere; selezionare è una doverosa opportunità che rinfranca il diritto di ognuno; sono lievito e additivo della storia, sempre maestra di vita.
Non è, questo, un ricordo cangiante; è semplicemente un “ghiribizzo” che asseconda la definizione di un tal Roberto Ridolfi (riflessione solitaria, materiale e, forse, controcorrente; quasi una riflessione condotta in una direzione diversa dalla politica nota e posta in atto per quattro decenni ed espressione di modi e scontrosità anche sentenziose): forse un commentario; certamente una parresia.
Fatti e azioni operative del giorno
……. addì 19 ottobre 1979, ore 10.48 UTC; sala controllo Milano ACC Area: verticale TOP/VOR
Contatti TBT: am/Milano ACC, sett WEST 132,9 Mhz Aeromobili interessati: BA 560 ( Ba 111 da Londra a Linate TOP/VOR 10.48 FL 130, in discesa da FL 250, rotta Monte Bianco/TOP/VOG/LIM , autorizzazione limite TOP/VOR). I 2020 (C119 da Ramstein a Cameri
TOP/VOR 10.49 FL 110 rotta Lione/TOP , autorizzazione limite CAM/NDB via TOP/VOG) ; I (INDIA) 2020 , in apnea per le note prestazioni di am non pressurizzato, chiedeva di scendere a FL90 e autorizzazione per CAM/NDB da TOP via VOG; gradita ogni azione di vettoramento radar per un diretto e conseguente discesa; BA 560 trovandosi incappata, suo malgrado, in una confusa e disarticolata conduzione operativa ATC era indecisa se rientrare a Londra, dirottare a Torino Caselle o proseguire per la destinazione iniziale di Milano Linate; ne Caselle ne Linate erano in condizione di confermare, con chiarezza, l’accettazione del volo; il caos regnava; i coordinamenti erano del tutto scoordinati e senza soluzione; mancava una gestione univoca; ogni operatore ATC agiva in proprio e, anche lui, in apnea; era evidente una desolante mancanza di valori cognitivi tesi a porre rimedio a ciò che, caparbiamente, non era stato predisposto: NOTAM informativo, sulle possibili/probabili indisponibilità del servizio ATC.
In sala ACC un crescente e appiccicoso nervosismo determinava un agire spasmodico ed affannoso; Il trasponder di I 2020 era OFF e il complesso del sistema del radar d’Area generava “angeli”; troppe le “variabili” fuori controllo, troppe le incertezze, troppe …………. non c’era nulla che non fosse di troppo
Risultato: marcata sottoseparazione dei due am sulla tratta TOP/VOG; come? … ancora oggi non mi è dato capacitarmi …. certa una autorizzazione, impropria, a scendere a BA 560 ….; ricordo bene, invece, la traccia unica di un labile “primario” e di un “secondario” sovrapposto che non quadrava affatto … era giornata di “angeli”…. la lavagna luminosa, continuamente aggiornata dall’assistente radar (a cui si riserva un doveroso ringraziamento) parlava chiaro: erano due gli aeromobili; di tanto in tanto mi si ripresenta, ancora, come immagine nitida di una traccia unica che, poi … poi, si sdoppiò; fu grande il sospiro liberatorio non mancò, neppure, una sofferenza tenuta fortunatamente a freno dalla certezza che Loreto, e la famiglia associata, un qualche rilievo lo deve aver avuto. … era davvero giornata di “angeli”.
I 2020 non ha visto niente e ha ringraziato per il successivo, “taglio” diretto Cameri; BA 560 non si è accorta di niente, o forse ha fatto finta di non accorgersi e, in forma certamente inusuale, ha espresso un “tank you” alquanto significativo per l’autorizzazione ricevuta a proseguire, finalmente, per Milano Linate dopo un’attesa su TOP, e a scendere inizialmente a FL 90, ignorando ciò che tutti ignoravano: quando sarebbe potuta ripartire per Londra? Ma questo non era un problema rilevante; importante era “mettere le ruote a terra. …. e intorno alle 13.24 UTC, ultima comunicazione TBT, per trasferire il controllo a Ginevra ACC dell’ultimo a/m civile ancora in contatto sulla 132.9 … verticale TOP/VOR”.
Nuovo giorno e speranze recondite
E’ finita bene; ma la giornata non finì qui: per chi iniziava il turno, alle 13.00 UTC, restava da assistere l’eventuale traffico a garanzia quale: militare, soccorso, emergenze e …….. E poi? Poi alle 23.00 UTC ci si incammina verso il “nuovo”; è ancora “buio” ma un brillio intenso di stelle, immaginario messaggero di un nuovo sorgere del sole di li a poco, infondeva speranza. E sarà un nuovo giorno; il primo nuovo giorno del nuovo lungo cammino verso una nuovo approdo ancora indecifrabile e coperto da copiosi strati di fuliggine; e tale resterà, ancora, per anni e anni.
Volendo completare “ il conoscere”si può consultare il sussidiario storico che ci ricorda quando ancora al Salario si vendeva dentifricio in viale dell’Università si disponeva in “appalto” le funzioni di manutenzione di apparati radar e correlati con cessione, trasferimento, smilitarizzazione del personale addetto; questo spiaggiamento in area civile fu predisposto e favorito da significative figure apicali della politica e della forza armata; operazione probabilmente necessaria e inderogabile ma che, di fatto, segna una considerevole perdita potenziale della casa madre; e tante polemiche. Poi cambia la casa, cambia la politica e cambiano gli apicali addetti e quelle funzioni appaltate verranno “ricomprate in toto”, circa quarant’anni dopo, dallo Stato per il tramite del braccio operativo legato all’assistenza al volo; braccio che oggi paga, e paga bene tutto e tutti; ma troppi non se ne avvedono. Com’è strana la vita: prima si paga per dare in l’appalto un servizio, poi si paga per riportare a casa il servizio appaltato. Reazioni? Distinguo? Perplessità? Costi? Opportunità? Sola cortina fumogena soporifera.
Ma la forza della speranza è vita, e quella che ti porti dentro, che ti anima e ti sostiene, è dettata dalla convinzione di non aver mai tradito il giuramento di fedeltà prestato alle istituzioni del nostro ordinamento nazionale, e sigilla ogni ipotetica avversità; il resto può anche essere un semplice contare per ricordare eventi chiacchierando: “Sciopero”??!! …. “Ammutinamento”??!! …. Movimenti! … Note caratteristiche !!!
…. ect. ect. ; uno scialo infinito di cose anche con apparente poca sostanza; non un arruffio disordinato di pensieri ma reali pensieri di un vissuto reale forse diversamente ordinato.
“… e tenete a mente questo ricordo, perché molti errano”. …. (il Guicciardini)
E, poi, sulla scia di ciò che custodisce ogni angolo nascosto del nostro essere, vale la pena sfogliare, ancora, le pagine dei Ricordi dello stesso Francesco: e sarà un “libro aperto”; e svelerà l’essenza del proprio ”IO”, oltre ogni barricata auto-protettiva. Sarà un tormento personale? Forse; ma, sarà immagine speculare di un’essenza umana impegnata, in proprio, a considerare le cose.
“Tutto quello che è stato per el passato e è al presente, sarà ancora in futuro; ma si mutano e’ nomi e la superficie delle cose in modo, che chi non ha buono occhio non le riconosce, ne’ sa pigliare regola o fare giudizio per mezzo di quella osservazione” “E filosofi e teologi e tutti gli altri che scrutano le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie: perché in effetto gli uomini sono al buio delle cose, e questa indagazione ha servito e serve più a esercitare gli impegni che a trovare la verità”
L’insufficienza della ragione, del venir meno delle normative, della regole e dei modelli e persino, al limite, una certa sfiducia nei confronti della stessa “discrezione”, è la riflessione con cui scegliere, con lealtà e coscienza professionale, il proprio futuro, coscienti delle responsabilità proprie. E’ quanto avvenne il 19 ottobre 1979: l’equivalersi della ragione e del suo contrario, fede o pazzia che lo si voglia definire. Non fu azione contro ogni ragione; fu azione spinta da spontanea ragione derubricata, con troppa superficialità dalle autorità preposte, a pretesa non ammissibie; e per “partito” preso; fu il “particulare” di una irrepetibile singolarità anche se i suoi cassetti erano pieni di incognite.
“Non si potendo ottenere le cose grande senza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura”.
E’ libera ogni varietà, libertà e arbitrarietà su ciò che ha caratterizzato quel giorno, anche se appariva, sin dall’inizio, incerta ogni verità del presente e sul futuro ( libera interpretazione e libero adattamento del “de futuris contingentibus non est determinata veritas”, usata dal Guicciardini ma attribuita ad Aristotele).
Certezze, dimenticanze e ricordi
Una cosa è certa: è mancata la capacità di attenzione di chi aveva il dovere, la responsabilità e la funzione di capire la necessità del “variare delle cose”; e la cosa continuò per decenni ancora.
Si può dire altro? Si: la “dimenticanza” è una cosa dolce come il riposo, ma si addice solo a chi considera il riposo unica soluzione; Il ricordo non è sugo del passato, è realtà viva, e leggere se stessi rimane sempre una opportunità positiva che da forza. Poi, da non dimenticare: ogni manifestazione in succinto, anche se non condivisibile e non conforme alle convinzioni proprie, necessita comunque una esplorazione suppletiva che evidenzia e contempla una riflessione e dei “GRAZIE” e, anche, una significativa dose di sana nostalgia; e aiuta a riflettere.
Poi giunge, inesorabile, anche il momento in cui il vecchio “abito” dei ricordi sgualcisce, ma non dimentica. “At parking area, switching off” … Game over.……….. quarant’anni dopo quell’ Ottobre lontano. 19 ottobre 2019
Un arzigogolo eccezionale, compresa l’improprietà che, ormai resa sistemica dal contesto normativo nazionale, in continua e perversa transumanza fra l’inglese e l’italiano, non distingue più “Airport” da “Aerodrome”. E’ bene ribadire che il Controllo del Traffico Aereo, ed Enti preposti a tali funzioni, dovrebbero riconoscere solo “Aerodrome”, poiché è l’area di propria giurisdizione; trascinati, invece, da un turbinio normativo irrazionale proposto da semplici dilettanti impreparati a soddisfare le reali esigenze, diffondono una distrofia foriera d’incomprensioni propedeutiche negative e un carico di responsabilità improprie, non pertinenti e spesso devianti, sulle spalle dell’operatore ATC, e non solo; ma nessuno se ne cura; L’ENAV elabora e promuove, forte della sua posizione funzionale di “ricerca”, soluzioni “lunari”, e l’ENAC si aggrega con piacere; e passano inosservate storpiature che, alla “resa dei conti”, a fronte di un disservizio, fanno differenza; l’Organo giudicante (Magistratura) ha funzioni strettamente legate a un contesto materiale palpabile e decifrabile; se lo inibisci con valenze extra, non puoi non aspettarti che assapori valori extra e, comunque vada, sono dolori; e sono dolori perché gli extra sollecitano interpretazioni altrettanto extra; è opportuno farsene una ragione, e perché no, anche preventiva; mettere le mani avanti non è mai segno di codardia: è semplice azione di onesta difesa.
A parte l’enfasi della capacità tecnologica di predisporre un “controllo remoto” su un “AIRPORT” (ancora non Aerodrome) dove sta, oggi, l’utilità funzionale operativa? Ciò che si vede in “diretta” per quale motivo deve essere trasformato in ”virtuale” per essere visionato, e intervenire, in diretta? E non si racconti la “storiella” del risparmio e razionalizzazione dei servizi ATC; non si risparmia neppure in fatturazioni in casa; anzi, si ampliano le opportunità fatturabili.
Si vuole fare un passo in più verso un progresso operativo funzionale senza mettere la benda agli occhi, per preservarli dalle visioni reali a favore delle virtuali? A che cosa serve questo di “più” virtuale se non a dimostrare una capacità tecnologica certamente qualificata, ma, di fatto, distorsiva delle quotidiane necessità operative, così come sono state rappresentate nel connubio fantascientifico della recente presentazione del RACOON Malpensa/Linate? Perché non trasferire queste capacità creative, e informative, nel più semplice accorpamento di funzioni, ridicendo i “siti operativi” quali le quattro ACC e accorpare alle ACC stesse le funzioni del servizio APP degli aeroporti di giurisdizione così come già avviene, da sempre, in area milanese (Malpensa/Linate/Orio e dependance attigue)?
Da non sottovalutare, poi, la possibile rappresentazione “virtuale” di aree/spazi, di aerodromo, in “ombra” o particolarmente distanti dal punto di naturale osservazione visiva quale rappresenta la Torre di Controllo, sullo stesso sito operativo. Tutte funzioni che si presentano economicamente sostenibili e a prezzi decisamente stracciati ma …… si fattura poco e s’intacca ciò che il “sistema” trascina, da sempre, in fatto di funzioni operative legate a specifiche indennità, spesso sovrapposte, spezzettate e spalmate all’uopo; è il classico “concedere” senza “cedere”; e si paga pegno.
Un’azione operativa “remota” di un servizio ATC su di un Aerodromo può essere giustificata dalla “occasionalità” operativa referente l’aerodromo stesso, limitata in incidenza e in tempo, e analizzato e valutato il costo del supporto tecnologico certamente significativo; diversamente trattasi di pura e semplice dimostrazione di capacità tecnologica, con dei costi e fatturazioni certi, senza alcun beneficio per l’utenza; un sistema di Back-Up, per altro spesso presente in forma sistemica, pare essere sempre utile ma deve essere di facile utilizzazione: sempre semplice un “passaggio” predisposto e coordinato in tempo per funzioni dimostrative di capacità ed efficienza ma sempre decisamente complesso a fronte di una “necessità” improvvisa, o di un’emergenza funzionale operativa; un tale sistema “dormiente”, più o meno complesso secondo la disponibilità tecnologica ed economica del momento, racchiude, sempre, in se una significativa utilità operativa a livello di potenziale teorico ma il suo “reale” utilizzo ha una rappresentazione molto, molto diversa: estremamente complessa l’acquisizione “cosciente” dei dati utili e funzionali per un rientro nella “normalità operativa”.
Oggi nessuno più ha capacità di andare oltre il semplice “ricordo” di ciò che rappresentava il “settore procedurale”, abbinato al rispettivo “settore radar”, delle sue pseudo funzioni anche di Back-Up e delle difficoltà nel rendere continuo il servizio ATC quando, improvvisamente, il radar era dichiarato OFF; e i due termini, quali improvvisamente e dichiarato, non sono per nulla casuali e riassumono situazioni passate che hanno lasciato il segno, ormai depotenziato dalla “capacita” dell’essere tecnologicamente superiore; ma??? Nel caso specifico del RACOON, forse, anche la sicurezza ne ha motivo di recriminare visto che si deve ricorrere a un by-pass obbligato, soggetto a cyber-interferenze illegali ormai di dominio corrente; ma, evidentemente, l’importante non è “comprendere” bensì “competere” per proporsi venditori; e ciò che si vende si fattura; il resto viene dopo.
Le baldanzose assicurazioni della “impermeabilità” del sistema e del suo essere “refrattario” a improprie intrusioni e anomalie occasionali del “soft & hard” familiari, non arrecano un gran che d’incremento positivo e di tranquillità ….. per il resto sono solo “chiacchiere” alla pari dei venditori al mercatino rionale.
Poi, per la pace dei tecnologicamente avanzati, l’Aerodrome di Linate resterà “controllato”, in diretta e senza “intermediazioni virtuali”, da Linate, dalla TWR di Linate; e per lungo tempo; siatene certi. Avanzerà tecnologia ma sarà impiegata altrove con maggiore profitto funzionale, forse; si spera; e a chi non piace, il termine “Aerodrome” se ne deve fare una ragione: così è; e sarà cosa salutare ……… e poi, con il passare del tempo, vedremo certamente anche nascere aeroporti completamente diversi dagli attuali, e magari privi di ciò che oggi li rappresenta, spesso simbolo mediatico distorsivo a effetto, perché la tecnologia non può arretrare; si supereranno, forse, anche le controversie contrattuali legate alle specificità professionali e relative indennità; al limite, si raddoppiano gli aventi diritto, già in sovrannumero, e si scoprirà, forse, che anche implementare e concentrare funzioni è azione non solo per “servire” ma anche per “servirsene”; per ora, è prioritario il bisogno di sentirci avvolti dalla coperta del “vedere” ciò che il mondo, in modo naturale, ci mostra, senza intermediari inutili e superflui, almeno in questo caso; e ciò che verrà, se questo è il presupposto, ci vestirà di rassegnazione, non di convinzione certa.
P.S. (Preview Show): a quando l’implementazione, in cockpit, di un sistema AVISTA.C (Advance VIsion Status Aerodrome in Cockpit)? Sarebbe un bel business; se scommetto che già ci stanno pensando svanisce ogni possibilità di copyright; ma è, comunque, un gioco inutile perché, pur di non pagare diritti, si userà il termine Airport, unico conosciuto dal nostro Codice di Navigazione, sprezzanti, per amorevole passione filologica (???) o per semplice dedizione conclamata al semplicismo, delle “ Definitions” ICAO. 3 Gennaio 2017
Per spiegare; o meglio per cercare di spiegare ….In un tradizionale periodo di feste, per eccellenza, non può’ non trovare supporto mediatico una qualsiasi proposta “free”: è tempo di regali e di omaggi che, spesso, paiono gratificanti; solo in seguito ci accorgiamo che grava, sempre, un pegno. Le free flight-route non hanno alcun ché da spartire con i regali, ma incorporano quel tanto di “free” che eccita, sempre e comunque, utenti e media; ma lasciano poco spazio, anche se ci lasciamo guidare da una traduzione in lingua nazionale, di fatto, non pertinente e poco propria. Comunque l’essere “free”, nel contesto ATC, assume sempre un aspetto rispettoso di regole e procedure anche in condizioni di emergenza, quando e se applicabili; è chiaro a tutti che è funzione dell’evento registrato.
La panacea delle rotte così definite per ora rappresenta un contributo parziale, limitato al contesto nazionale, in attesa d’implementazioni strettamente legate alla de materializzazione dei confini geografici, se tale azione sarà accettata, senza eccesivi egoismi nazionali sempre in agguato. Ben venga ogni opportunità di “riduzione kilometrica” (appare più appropriata una definizione in miglia) ma il contesto operativo ATC contempla anche altri fattori, come “tempo” e “spaziamento” dell’utenza, che rendono il “conteggio finale” più complesso, articolato e di non facile determinazione. Non serve avere occhi capaci di sfogliare l’essere del Controllore del Traffico Aereo; è sufficiente comprendere il suo agire quotidiano per individuare le sue possibili “bolle”, quando in apnea, sollecitato da ricche informazioni da tools e warning alerts ma certamente non satollo da indicazioni che fanno differenza: prevenire punti di sottoseparazione e provvedere a relative azioni di separazione, non “forzata” in extremis da warnings sistemici, certamente efficaci ma non sempre propedeutici ad azioni “controllate, e coscienti”, è espressione operativa funzionale dei doveri d’istituto; funzioni semplici, che non sempre sono semplici, ma e semplice inciampare. Il lasciarsi andare a dichiarazioni di garanzie di sicurezza al 100% pare, poi, essere sempre un percorrere la strada di un semplicismo guidato da facili entusiasmi non sempre forieri di un consuntivo congruente.
Le ipotesi preconfezionate dai tools, certamente fondate, non sempre sono recepite dalle “teste” perché possono rappresentare ipotesi non facili da “snodare” dalle stesse teste che devono garantire il servizio ATC: sicuro, ordinato e spedito; non è un arrovellarsi in distinguo; è realtà pratica. Il fattore “tempo”, il prolificare dei “punti” d’incrocio, non più convenzionali secondo una logica geografica facilmente memorizzabile, incremento e compressione (e non può essere cosa tanto diversa) del traffico rende sempre più complesse le attenzioni e le azioni dei prestatori del servizio dedito al Controllo del Traffico Aereo; non di meno la sistematica estensione dello spazio controllato che, in questo contesto si espande e copre ciò che le aerovie lasciavano “libero”, in altre parole, non soggetto a controllo ATC. La “macchina” (informazione automatizzata) fa e dice tutto ma non è tutto; è l’uomo, in altre parole il Controllore del Traffico Aereo, che è chiamato a “leggere” ciò che la macchina sentenzia; mi perdoni il gentil sesso dedito al servizio ATC, complementari, succedanei, di riporto operativo e altro: il termine “uomo”, qui usato, è termine “generico” che non contempla discriminazioni fra esseri umani e non racchiude, in sé, differenziazioni di sesso; quindi li contempla entrambi, e alla pari.
Vista la spinta a riempire spazi e comprimere tempi per soddisfare esigenze commerciali, certamente rispettabili, siamo certi che tutti gli “attori” riescano a soddisfare tali esigenze senza “infrangere” il proprio dovere d’istituto? E non si tratta di soli Controllori del Traffico Aereo.
I discorsi sui “risparmi”applicando le free flight- route sono di una parzialità certa se non integrati in un contesto sistemico legato anche all’afflusso sul punto iniziale di procedura di avvicinamento, al tempo/durata del volo e alle capacità aeroportuali, senza tralasciare quelle settoriali tipiche e necessarie a un’organizzazione operativa efficiente: tematiche spesso derubricate a inefficienze strutturali con passione inaudita. La problematica si ripete da svariati decenni ma ….. non c’è alcuno che si prende la briga di SPIEGARE; non c’è alcuno che si propone di CAPIRE: tutti fanno i conti o modo loro. E si parla; e si straparla; si ipotizzano fantastiche riduzioni di costi senza considerare che ogni riduzione dei costi, nel contesto che ci trova protagonisti, abbia decisamente un COSTO, e, per correttezza, va quantificato, seriamente, da chi è competente; se convinto dell’essere competente; certamente enfio di competenza; troppo spesso fallace per parzialità sistemiche assunte come docmi. La storia, infinita, del recente passato sull’addebito del ritardo rispetto allo schedulato, unilaterale e sempre al netto delle variabili proprie e azioni diverse, legate a molteplici cooperanti e partecipi operativi, ha sempre trovato sfogo in un piagnisteo appesantito da un corollario di costi insostenibili per l’impresa primaria utente come se essa rappresentasse l’unico “essere” in un contesto funzionale, e operativo, espressione di più “esseri”; non è mai stato possibile rendere chiarezza su ciò e ogni tentativo, spesso legato a iniziative individuali per mancanza di propositori istituzionali, trovava sempre forme disallineate, in “casa” e fuori di casa. La “protezione del visibile”, a occhi bendati, dettava dottrina: non erano ammesse devianze; ogni discrasia rilevata era considerata non solo di parte ma eretica.
Che cosa centrano le free flight route con tutto ciò? Centrano. Eccome centrano. E’ un indottrinare l’utente su una specificità operativa che, vista singolarmente, esprime certamente l’opportunità di un vantaggio ma, purtroppo nasce, volutamente, orfana dalle valenze incidenti correlate che possono e fanno differenza. E’ un’azione pubblicitaria finalizzata a commercializzare servizi efficienti che poggiano su materassi tecnologici, certamente innovativi e con costi anche significativi, ma che travisano, caparbiamente, le umane capacità della media degli addetti al traffico aereo intesi come Controllori del Traffico Aereo. Non c’è ragione che tenga: quando i punti d’interconnessione di rotte “infinite” diventano “infiniti”, tools e warning alerts non costituiscono certezza di un intervento “finito” da una mente certamente allenata ma non “infinita”. La sistematicità di accesso a dati significativi e l’utilizzo di azioni e/o procedure sistemiche codificate anche attraverso un semplice read back, che semplice non è affatto, molto spesso manifestano criticità che devono preoccupare utenti e fornitori di servizio. Ogni dispositivo di supporto, elettronico e non, e ogni operazione/azione codificata è utile fino a quando non crea assuefazione e/o dipendenza; è estremamente facile essere avvolti da una “nebbia” virtuale; ma non vanno, di certo, né condannati, ne condizionati ma commisurati alle esigenze reali: e l’operatore che è chiamato in causa deve acquisire capacità a recepirli, sempre e comunque; e, siatene certi, è un contesto che non sempre favorisce costanza granitica. Gli esempi non mancano e …. ci si astiene dall’elencarli semplicemente per coscienza professionale; o semplicemente per buon senso e rispetto dell’accaduto e dei soggetti coinvolti, loro malgrado. Espandere il contenitore per aumentare la “capacità ricettiva”e per ridurre parametri sensibili ai “costi di esercizio” comporta maggiore “sensibilità e costanza di attenzione” in tutti i preposti chiamati ad assolvere funzioni operative; e non si tratta di azione a costo zero; anche i più refrattari avranno modo, e tempo, di convincersene.
L’innovazione va sostenuta; non sempre è indolore; ha sempre dei costi che devono essere cooptati dall’utenza; ogni analgesico appare, decisamente, fuorviante; il free flight route è un pacco dono ENAV, e delle confraternite, datato 8 dicembre 2016; non è certamente farlocco, e non è nemmeno inopportuno, ma va trattato con i guanti: ne risponde sempre colui che “sta in cuffia”; in caso di ”conflitto” da ogni parte sbucherà un censore che, enfio di perversa ingenuità, ingenuamente si chiederà: ma come ha fatto a non accorgersi?
Il 10 di Dicembre di ogni anno tutto il mondo azzurro nazionale rende omaggio alla Sua Santa e Immacolata protettrice, “accasata” a Loreto …. se non cede in stanchezza, non mancherà di aiutarci. E’ un atto di fedele speranza, per chi crede; per gli agnostici resta sempre la buona sorte.
Capito mi hai? Un abbraccio a tutte le menti allenate e chiamate a disporre un’azione operativa “finita” a garanzia di un servizio sempre SICURO, poi ORDINATO e, poi, anche SPEDITO.(DOC 4444 chapter 1 –Definitions. Air Traffic Control Service. A service provided for the purpose of: a) preventing collisions between aircraft, and, on the manoeuvring area between aircraft and obstructions, and b) expediting and maintaining an ordely flow of air traffic.) Buon lavoro. 20 Dicembre 2016
Un arco temporale di più millenni accoglie ricostruzioni mitologiche d’illustri poeti dell’antica Grecia, culla della nostra cultura, traslata nel tempo, per forza dominante, in un contesto epico ancorato alla valle del Tevere e, via via, arricchitasi, nel medioevo, di un supporto più concreto per poi sfociare nelle soluzioni tradotte, in pratica, nell’era moderna.
Il nostro ”vivere” quotidiano non può distogliere lo sguardo da quanto il passato ci racconta: il passato ci parla e ci indica, chiaramente, ciò che appare opportuno evitare per far sì che gli “errori” non si ripetano; la nostra indole, purtroppo, non se ne cura e i risultati sono sotto gli occhi di tutti; e non c’è difficoltà, in alcuno, a reclamare una visione soggettiva di ogni cosa che ci circonda. Così era il mondo; così è il mondo.
“Aquile dalle penne caduche” (allegato) vuole essere un percorso propositivo finalizzato alla ricerca di una condivisione propedeutica a individuare distorsioni operative e comportamentali del mostro mondo “azzurro” che nulla hanno a che fare con la sana gestione della cosa pubblica e di un servizio dedicato al pubblico; non mancano, di certo, manifestazioni positive, relegate, purtroppo, in un’area troppo ombreggiata, impropria e persistente.
E’ un frammestio di mitologia e storia, che s’incunea nella realtà e che emerge in un quotidiano non certo originale, ricco di connotati di bassi interessi che non assolvono, di certo, la missione assegnata nella sua completa espressione funzionale, sia essa “diretta”sia “indiretta”.
E’ una traduzione di liberi pensieri, affidati a un libero lettore, per non perdere il sano vizio di non dimenticare, navigando fra mitologia, storia e fatti recenti che hanno lasciato un segno indelebile nella società e condizionato non pochi “partecipi” diretti del nostro mondo colorato di azzurro. 27 giugno 2015
La Forza Armata Aeronautica, con una sua nota del 22 Settembre scorso, informa di un’intesa con ENAC per proseguire “…. la ricerca di sinergie e collaborazioni in tutti i settori strategici del Paese affinché le eccellenze che caratterizzano ciascuna organizzazione possano efficientemente essere messe a fattor comune con l’altra, secondo una logica di reciproco vantaggio e beneficio e nell’ottica ultima dell’interesse del sistema Paese. L’accordo mira ad ampliare e aree tecniche di collaborazione, che si estendono dai settori di comune interesse quali i servizi della navigazione aerea, ivi compresa la meteorologia aeronautica, le risorse umane ad alto valore specialistico come piloti, controllori di volo, ingegneri, medici etc. fino alla dimensione aerospaziale …….”.
Orbene, cosi si legge nella nota diffusa, sull’accordo sottoscritto fra le due massime espressioni direttive, di AM ed ENAC.
Si presume che la nota sia stata redatta da un addetto stampa che “mastica” sì il linguaggio dei media ma che ignora, clamorosamente, la corretta terminologia professionale che si addice a un “… alto valore specialistico ….” citato; non è pensabile, infatti, che una simile terminologia possa trovare spazio in un documento di tale portata propositiva.
In poche parole: in Italia, sino ad ora, si vedono operare solo e soltanto controllori del traffico aereo, civili e militari, e non hanno alcun ché da spartire con i controllori di volo, realtà operativa e funzionale nella gestione di un volo spaziale, non ancora di italica pertinenza.
Può anche darsi che si guardi tanto avanti al punto da minimizzare, e storpiare, l’esistente, ma non appare certo qualificante, per nessun preposto professionale e funzionale, seguire l’onda dei media; il linguaggio colorito, capace di fare breccia nell’immaginario comune, non è certo espressione, e tanto meno indicazione di una professione reale.
Un pressapochismo di troppo che non rende qualificante gli organi sottoscrittori che alle “DEFINITIONS” (definizioni, terminologia) affidano gran parte della loro funzione di garanzia, in termini di “diritto”.
E questa è, comunque, poca cosa; in questi ultimi anni si è visto di peggio, di molto peggio.
Sarà curioso quanto si vuole ma, ancora, così è. 5 gennaio 2015
Ne abbiamo già parlato, per lo più sollecitati dall’aneddotica mediatica e dalla nutrita foga del Commissario UE ai trasporti; non serve richiamare l’attenzione sulle date: uscite e commenti dei media sono ormai completamente riposti in un cassetto del passato in attesa della prossima spolverata stagionale, ovvero del prossimo Commissario; la reale problematica del Cielo Unico Europeo ha, ancora, da uscire nella sua completezza. Oggi la crisi generalizzata, e del trasporto aereo, non lascia spazio ad alcuna fantasia funzionale diversa dall’attuale realtà operativa saldamente ancorata a un contesto normativo che non può non avere, come punto di riferimento, la legislazione nazionale. Implementare una cosa nuova, comunque, ha un costo.
Chi è disposto a rinunciare ai propri Codici, siano essi Civile, Penale e della Navigazione e ai relativi ordinamenti giuridici a favore di nuovi a carattere internazionale?
Come si colloca il terzo potere dello Stato, l’Organo Giudiziario, a fronte di eventuali posizioni penalmente rilevanti ascrivibili agli operativi coinvolti in disservizi quando il concetto di sovranità nazionale migra verso un’entità sovranazionale in cui convergono, necessariamente, pluralità diverse e fortemente variegate ed espresse in altre “lingue”?
Oltre al predisporre tali normative, accettabili per tutti i soggetti coinvolti (Stati), le stesse necessitano, forzatamente, una ratifica degli Organi Legislativi di ogni stato partecipante. Spesso, e da più parti, si reclama la necessità di riforme e di deleghe gestionali, e normative, da affidare a un’entità “unitaria” Europea ma …. la sordità e l’interesse spazzano ogni sano principio. E gli esempi non mancano: dalla difesa dei confini nazionali all’approvvigionamento di mezzi e tecnologie per le forze armate, dagli interventi umanitari agli interessi e affari economici e finanziari, questi ultimi trattati su piazze bancarie europee ben lungi dal rappresentare la benché minima idea di un’entità unica; dentro o fuori dell’Euro non fa alcuna differenza.
E si può continuare.
La complessa problematica di base legata al Cielo Unico Europeo, che va ben oltre le ricerche e le soluzioni tecnologiche e operative utili per mantenere un elevato livello di sicurezza, incrementare la capacità degli spazi aerei e contenere i ritardi ATC, è di matura giuridica e fa capo allo Stato (Stati); e oggi appare come difficilmente superabile; e la ragione è racchiusa nel reticolo dei vincoli normativi oggi esistente, nella routine della burocrazia amministrativa distorta e nelle resistenze all’innovazione.
Una utenza cosciente, però, non può, e non deve, trovare supporto alcuno nei proclami che racchiudono, prevalentemente, messaggi di natura commerciale: più voli, riduzione tempi di volo, notevole abbattimento dei costi ATS e significativo incremento del valore sicurezza. Già, e questa “sicurezza” è menzionata (propinata) sempre in coda. Oggi invece, la “sicurezza”, è la prima colonna portante del servizio ATCS e non può trovare alcun compromesso, e men che meno in subordine, né con la “capacity” né con la velocizzazione delle operazioni per ridurre i ritardi, i consumi, gli sprechi; e cosi dovrà essere, anche per il domani.
E’ la solita storia. E’ il solito non voler capire. L’utenza non può non capire.
I percorsi in rotta, inseriti in un contesto operativo dinamico, ormai da anni si sono significativamente “accorciati” grazie alla navigazione satellitare e le quote ottimali sempre più garantite grazie all’evoluzione tecnologica degli apparati di bordo e di terra. Ci sono ancora margini per migliorare, come nelle procedure intermedie e di avvicinamento finale quando potranno essere affidate completamente ai segnali satellitari. Oggi, in linea di massima, i sistemi operativi nazionali sono continuamente aggiornati, con investimento oneroso significativo, e pronti a soddisfare una “domanda” che ora non c’è. Se domani si “richiederà”, ancora, la Luna, non ci sarà comunque un Single Sky che possa soddisfare tale lunatica richiesta. Sarà un cielo più permeabile ma strutturato, e condizionato, da tanti “distinguo” quanti sono gli Stati e da un complesso infrastrutturale di aerodromi decisamente diversificato; si di “aerodromo” perché al Controllo del Traffico Aereo non intessa di certo il termine “aeroporto” adottato in modo compulsivo dal recente aggiornamento del Codice della Navigazione (italiano); ma nessuno se ne fa cruccio; e altro di similare abbonda. C’è da stare certi: non sono quisquilie; e in mano ad un magistrato, se chiamato a dare giudizio per azioni penalmente ascrivibili è “particularità” dirompente. Di certo la “sovranità” di tale Cielo Unico non arriverà mai a conglobare l’aerodromo, o aeroporto che sia, ma è qui che la matassa incomincia a ingarbugliarsi.
Il lavoro da fare per implementare un Single Sky Europeo è, dunque, immane e la maggiore complessità si annida, come si è detto, a monte di ogni Regulator e ogni Provider, dove maggiore è la refrattarietà a recepire riforme che, di fatto, alegeriscono l’influenza e il controllo centrale di uno Stato. L’operativo farà certamente la sua parte con gli occhi aperti, sul versante sicurezza in primis. E non sarà certo il numero dei Centri di Controllo dedicati, spesso confrontato dai media con la realtà USA, a creare ostacolo; sono funzionali al servizio ATC quando “dialoganti e permeabili” nella trasmissione e scambio dati, sia primari sia secondari, elaborati dal sistema e rappresentano un backup incrociato d’indubbio valore operativo; in assenza di ciò è certa l’inefficacia operativa come quella già manifestata con l’improvvido trasferimento della funzioni ATC dei settori “upper” da Milano a Roma nei primi anni del terzo millennio: un esempio nazionale di “unificazione del cielo” disastroso, penalizzante per l’utenza e da non ripetere.
Il legislatore dovrà darsi da fare a capire la complessità della problematica che va sicuramente oltre il profilo economico, e legiferare in merito. Dipanare la matassa ingarbugliata delle “Definitions” degli Annex e Doc ICAO, maldestramente ”revisionate e riviste” dal nostro Nuovo Codice della Navigazione, solo alcuni anni fa, semplicemente per assecondare un adeguamento linguistico più aderente al moderno parlare comune (lingua nazionale), non sarà impresa facile. Capire la diversità dei termini è anche capire le problematiche; doveroso è l’intento del “semplificare”, ma deleterio è il lasciarsi trascinare dal “semplicismo”.
E’ un bel dire: Cielo unico; ma quale Stato è disposto a rinunciare a una parte della propria sovranità nazionale in favore di una sovranità in capo ad un’Europa ancora priva di una reale identità e di un sentito ideale unitario?
E non si tratta, solo, di Spazio aereo. Se ne parlerà ancora; e a lungo.
E non mancheranno Principesse che ci raccontano; e Principi incantati che annuiscono. Poi troveranno espressione anche i “censori europei” che commuteranno ogni inadempienza in penale pecuniaria.
E non ci sarà meraviglia alcuna nel costatare che la sanzione sarà espressa in euro, anche se imposta a un Paese non aderente alla moneta unica.
Sarà l’ennesima manifestazione identitaria di un’Unione Europea in un contesto regolato da diversità permanenti. E’ decisamente strano questo nostro essere Europa. E strana risulta, anche, la pretesa di esigere comportamenti unitari quando l’unità è deficitaria in una “unione” di soli interessi che contempla, ma di fatto non condivide, una proiezione su base comunitaria. Unione e unità calati nell’attuale realtà UE rappresentano un semplice ossimoro; e vale la pena prenderne atto.
Siamo, forse, di fronte ad un”Cold case” di stampo organizzativo e normativo? 15 agosto 2014
Secondo un’antica consuetudine il suono dei rintocchi rapidi e secchi delle campane annunciava un pericolo imminente. Era pratica comune anche durante la guerra per segnalare un’incursione aerea. Ora è pratica in disuso perché in troppi sono allergici a quei rintocchi.
Oggi sono i media, metaforicamente, che suonano le “campane a martello” con i loro articoli non solo per annunciare un probabile pericolo imminente ma anche per manifestare dubbi e probabili fallimenti di imprese e azioni che in precedenza avevano decantato come toccasana. E, ora, siamo agli ultimi “rintocchi a martello” della stampa, specializzata e non, sull’attuale “vaporosa” situazione del Cielo Unico Europeo sponsorizzato con forza e determinazione dalla Commissione Europea.
Gli Stati membri, però, non ostentano altrettanta forza e determinazione, sono restii ad integrazioni che attaccano interessi nazionali e non cedono alla benché minima possibilità di vedere condizionata la propria “sovranità” e non credono al “bene comune”. E’ una realtà che non può essere ignorata. E non si possono ignorare nemmeno le fantasmagoriche aspettative che il programma stesso, qualora attuato, ci propini. Soltanto uno sprovveduto sognatore può ipotizzare una riduzione dei costi di esercizio del servizio ATC del 50% e contemporaneamente triplicare la “capacity”. L’incremento della “capacity”è legato ad uno sviluppo tecnologico sostenibile compatibile con la capacità umana dei soggetti coinvolti (pilota e Controllare ) a recepire ogni informazione e a gestire l’azione operativa nel pieno rispetto e a garanzia del massimo livello di sicurezza, formale e sostanziale, non derubricando a semplice appendice la possibilità e la necessità di agire e operare in “alternativa” per ripristinare separazioni codificate in un “ambiente operativo” esclusivamente dinamico e fortemente condizionato da fattori esterni spesso significativi (orografia, meteo e infrastruttura aeroportuale ) e da una valenza spazio/tempo decisamente riguardevole. La teoria “unmanned”, intesa come automazione esasperata delle funzioni necessaria a ridurre le separazioni per comprimere il traffico ed incrementare la capacity del sistema, non è applicabile ora. E non lo sarà nemmeno nel prossimo futuro nel contesto ATC commerciale. Certo uno “shuttle” rientra e atterra quasi esclusivamente in automatico ma una sequenza di ”shuttle” non è gestibile comunque. E agli appassionati del “sogno” si suggeriscono i racconti di Aladino e della bella Sharàzàd. E, non c’è dubbio, un volo sul tappeto volante è assicurato. E questo costa veramente poco. E non è neppure unmanned.
Ma costa poco anche sfruttare la “ATC capacity” disponibile nell’arco dell’intera giornata e con i mezzi attuali. Ed è, sì, tre volte quella effettivamente utilizzata. Ma la notte no. E’ giusto dedicarla al “sogno”. E in tutte le “stagioni”. 25 giugno 2013
Ecco ci siamo. Archiviata l’anteprima và in scena il primo atto: i racconti della bella Sharàzàd e la magica lampada di Aladino non incantano più i “cieli” europei. E non è una novità che divisioni e incomprensioni ataviche fra gli addetti ai lavori covassero sotto la cenere. E non sono altro che espressioni e manifestazioni strettamente legate alle politiche nazionali. Non è una novità neppure il persistere di un egoismo che va ben oltre l’elencazione degli stati membri e che, necessariamente, coinvolge anche altri stati confinanti, ancora più eterogenei. E’ impresa ardua armonizzare culture “nazionali” che si esprimono nei termini più disparati in fatto di dispositivi giuridici penali e di lavoro. E di interessi. Pare estremamente difficile poterli disconoscere. Quando ci si avvicina alle problematiche economiche legate agli investimenti infrastrutturali necessari, alle imprese da coinvolgere e alla proiezione della spartizione degli incassi, sia pure per quota parte, dei relativi “ricavi” per i servizi resi la problematica assume aspetti di impareggiabile conflittualità. Esempio recente è la storica e tormentata evoluzione della nascita di quello “spazio aereo funzionale” che va sotto il nome di CEATS (Central European Air Traffic Services) e che ha visto l’Italia partecipe sin dall’inizio per poi defilarsi per rilevante disparità fra apporto finanziario ed estensione dello spazio aereo messo in “comune” e le relative spartizioni del fatturato legato alle “tariffe di rotta”.
Egoismi di imprese e nazionalismi marcati lasciano il segno e non recedono neppure a fronte di evidenti distorsioni applicative. E’ sotto gli occhi di tutti l’attuale discussione sulla funzione e sugli interventi della BCE, solo per fare un esempio. Può il mondo”aviation” non essere contagiato?
In questi giorni i media nazionali riportano la pesante presa di posizione del Commissario europeo ai trasporti contro tutti i 27 Stati dell’Unione rei del fallimento delle operazioni “Cielo Unico”. Ma è un fallimento legato ad una valenza economica ed agli intrighi di parte o alla probabile impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati, forse precipitosamente, da un proclama politico non adeguatamente commisurato alle reali “potenzialità e volontà” disponibili?
Sono di parte: valenza economica e intrighi interessati lasciano il segno ma la seconda ipotesi risulta, decisamente, di maggior peso.
Probabilmente si tratta non di un fallimento vero e proprio del progetto ma di una significativa battuta d’arresto. Ma come già più volte evidenziato in passato, su questo stesso sito, la soluzione non è affatto semplice e tanto meno a portata di mano. E non giova certo ad alcuno il confuso “collage” di notizie e informazioni che molto spesso rendono inefficace ogni sforzo per un comune lettore di intendere la realtà. Poi quando si passa ai “numeri” propinati le riserve diventano macigni.
Quelli relativi alle aspettative di decuplicare il livello di sicurezza, di triplicare la capacità dello spazio aereo, di ridurre il costo di gestione del traffico del 50% e di ridurre l’impatto ambientale appaiono come semplici “voglie” che no
Spot propagandistico, questo sì.
Poi il compito di “raccontare” il seguito, rimandando il finale sempre al giorno dopo, ricalcando la tecnica e la finalità della bella Sharàzàd, lo lasciamo, sempre volentieri e con rispetto, ai media capaci di dare “colore” con una semplice penna, rigorosamente, nera. Ma spesso sono “colori privi di colore”.
La riorganizzazione dello spazio aereo europeo è d’obbligo, ed e possibile renderlo anche più efficiente e funzionale sotto ogni aspetto, rinunciando ai quotidiani marcati nazionalismi. E deve essere accompagnata, al di là degli interventi di merito ATCM e connessi normativi e giuridici a livello nazionale, da interventi strutturali a terra funzionali ai movimenti di passeggeri e merci.
Le potenzialità dei sistemi in progetto devono si “tenere conto” dell’ipotetica domanda ma nel contempo devono, necessariamente, “fare conto” con i numeri della “sostenibilità” del sistema: spazio disponibile e relativa capacity praticabile.
In altre parole non è possibile garantire a “tutti” (a troppi) di volare sempre, comunque e in ogni momento. E’ facile “disegnare” aeroplani sempre più capienti e sempre più veloci. E’ facile “disegnare” uno spazio aereo e procedure di volo per consentire capacity triplicate.
Appunto, è facile “disegnare” ma altra cosa è “realizzare” e poi “mantenere” nel tempo.
E’ cosa semplice da intendere e tocca ogni aspetto della vita quotidiana: dai servizi di trasporto in genere, ai servizi di assistenza, ai luoghi di svago e divertimento e tanto altro ancora. Tutto sta nel dare una valutazione concreta, attendibile e realizzabile a ciò che è “sostenibile” e non a ciò che è “disegnabile”. Molto spesso si esagera con i numeri proiettando sistematicamente il cittadino nel mondo dei sogni.
E’ cosi che il Single European Sky diventa “erba voglio”. Non tanto nella possibilità di implementare e rimodulare, ragionevolmente, rotte e servizi bensì nelle aspettative dichiarate dai sognatori volanti. E ce ne sono tanti, forse troppi, anche in posizioni politico/funzionali di rilievo sempre pronti a vendere sogni per un po’ di gloria. Effimera e fuorviante.
Il “possibile” non và ignorato ed è l’unico fondamento base. Andare oltre è pura fantasia e a volte è anche inganno. 24 ottobre 2012
Un invito semplice e senza alcuna retorica indirizzato a presidenti, direttori, comitati, amministratori, esperti qualificati e esperti auto-referenziati che dibattono, ancora, sulle misure intraprese (???) e da intraprendere per prevenire il verificarsi di situazioni analoghe o similari a quelle avvenute, a Linate, esattamente due lustri addietro. E, anno dopo anno, si susseguono riconoscimenti reciproci, targhe, convegni, incontri e quant’altro possa portare visibilità e pubblicità.
Si guardi la realtà di allora e ci si chieda, ancora, senza retorica: cosa è cambiato?
In quel tempo le posizioni operative dell’ATC erano correttamente programmate in funzione della previsione della domanda e le relative figure professionali comandate di servizio secondo il previsto orario attuativo delle relative attività. E fin qui non c’è alcuna sbavatura che tenga. Il telaio sembra reggere. Ma è un telaio virtuale purtroppo vanificato da furberie e/o furbizie perpetrate da anni e per anni nell’assoluto autismo di dipendenti, funzionari (poi quadri), dirigenti e amministratori.
Poi le “furberie” trovano attenzione in un’investigazione di tipo penale che scivola sul crinale dell’illecito amministrativo, meno traumatico di un’eventuale chiamata correa per una deficienza di garanzia nelle delicate funzioni assegnate. Ma così è. E la cronaca, all’ora, apparve alquanto “generosa” di particolari.
Ma nulla si smuove e il potere aziendale si chiude a riccio. Poi i fatti noti e “ricorrenti in memoria”. Ma non basta ancora. Si giustifica. Si copre. Si ignora. Si derubrica a semplice “assenza” che assenza non è perché il tutto si ritiene svolgersi in aeroporto ovvero sul “luogo di lavoro”. Situazione, per altro nota, tollerata e accettata dal datore e metabolizzata dal diritto. Ed è bene ricordarlo.
Spuntano ipotesi diverse su entrambe gli scenari. E non mancano i giudizi di “assoluzione” per alcuni funzionari “regulator” e “provider”. Incompressibile per i primi e, a dir poco, curiosa per i secondi. Senza disdegnare, poi, l’uso della clava su ciò che restava dei “provider” spaesati ed impantanati in una commistione fra una maldestra burocrazia-gestionale e non poca supponenza. E l’assoluzione ha interessato anche addetti alle funzioni operative.
E cosi accade che (e’ la notte fra il 4 e 5 maggio 2007) in un centro di controllo regionale nessuno è tanto sveglio da rispondere agli aeroplani che chiamano in frequenza e ai colleghi dei centri limitrofi che chiamano al telefono. E il drammatico “Ottobre”, in ricorrenza annuale, è lontano assai; e anche lì si registrava qualche furberia di troppo e già evidenziata Lo abbiamo già detto
(Aerohabitat.Home 21/12/2010 “Oltre le inchieste…” ). Non come da sempre ma, più o meno, dal 1983. E non è poco. Omertà e silenzi assordanti è prassi ormai consolidata. Tranne un primo e frettoloso tentativo di assicurare gli utenti che, comunque in quella notte, la sicurezza non difettava in quanto perfettamente applicabili le procedure alternative di “ritorno” alla frequenza precedente. E si badi bene il tutto per opera di dirigenti sindacali mentre l’azienda “prendeva tempo” E il tempo se l’è preso, eccome.
Affermazione, quella della sicurezza garantita, indubbiamente curiosa che, di fatto, riconosce funzioni di garante della sicurezza, in un’area di competenza di altri, ad un ente confinante che “non conosce” la realtà operativa del momento in detta area. Oggi se ne sostiene una “diversità” sostanziale rispetto a quel passato. La predisposizione e la disponibilità garantista associate ad un inconscio benevolo suggeriscono il consenso. L’esperienza maturata favorisce la refrattarietà.
La massima espressione della garanzia di un servizio in sicurezza passa, inesorabilmente, attraverso la corretta e puntuale applicazione dei dispositivi operativi posti in essere dall’autorità competente.
La presenza del personale in possesso di relativa e specifica qualifica funzionale è presupposto non negoziabile per far si che tale garanzia sia manifestata. Ovvero la manifestazione della “posizione di garanzia” non può essere dissociata dalla “presenza” del soggetto che la manifesta in virtù degli incarichi a lui formalmente assegnati.
La “presenza”, formale e sostanziale, è fatto e presupposto di una cultura primaria che precede ogni incarico e/o funzione assegnata. Ogni attività di apprendimento base. Ogni attività di addestramento e qualificazione. Ogni espressione operativa. Ogni funzione gestionale e direttiva.
E’ da qui che bisogna partire per proporsi promotori di azioni utili a garantire sicurezza, anche e non solo, in veste preventiva.
Alla luce dei fatti pare di notare un eccessivo e assordante silenzio a tale proposito. E pare eccessiva anche la quantità di “sabbia” messa a disposizione dal sistema per un uso comune e fin troppo spregiudicato. 24 ottobre 2011
Una “scia vorticosa” che trascina, inesorabilmente, in un conflitto di interessi le velleità di tipo economico addebitabili alle imprese di trasporto e alle società di esercizio aeroportuali e la necessità primaria del servizio ATC di garantire un’inequivocabile funzione di sicurezza.
Proiezioni futuristiche ci espongono, quotidianamente, illusori scenari di inverosimili incrementi di “capacity” dello spazio aereo e dei sistemi aeroportuali affidandosi a riduzioni delle separazioni coadiuvati e supportati da nuovi e sofisticati ritrovati tecnici ad uso del pilota e del controllore del T.A. Inverosimili perché non gestibili in sicurezza.
Anche se appaiono apprezzati e sponsorizzati da molti operativi. E quando le separazioni specificate da ICAO appaiono “abbondanti”si suggerisce di adottare quelle applicate dalla FAA, più strette E, da noi in Italia, necessitano delle validazioni in deroga dall’ENAC. E non ci si accorge, ovvero non ci si vuole accorgere, che l’anello finale della lunga trattazione ed elaborazione dei dati, sia pure in forma decisamente affidabile, passa, gioco forza, attraverso l’interpretazione e l’intervento di due esseri umani: pilota e controllore. E’ a loro che, alla fine, se ne chiede conto.
E le operazioni non avvengono certo “a tavolino” ma in un contesto dinamico dove la velocità e padrona incontrastata. Poi le condizioni meteo non demordono di certo. E poi il contesto orografico. E, ancora, l’inevitabile intreccio fra arrivi/partenze dove la “pianura padana” è esempio eloquente.
E poi che dire della futuribile espansione di Malpensa con la terza pista che renderebbe la ”centrale” 35L legata con un doppio nodo scorsoio alle altre due comunque venga utilizzata? Mitre la propone e ne parla ma, curiosamente, evita di ipotizzare in concreto l’uso a “tre” decisamente impegnativo per l’ATC e non certo foriero di “miracoli” sul piano “capacity”, se si vuole garantire una sicurezza continua. Infatti, la problematica delle procedure dei mancati avvicinamenti resta allo stato sublimale. E ciò condiziona la sequenza degli arrivi e delle partenze.
E molti non lo recepiscono. Ci si limita a presentare ipotesi duali lasciando, volutamente, nel limbo la creatura “terza”. E le situazioni di wake turbulence dannose non sono, certo, eventi né marginali né minimali viste le interdipendenze delle possibili procedure e le consolidate convinzioni (???) che le sequenze, in genere, si possono stringere ancora. E può bastare. E ciò che resta è semplice bigiotteria. Come il suggerimento del preventivo sviluppo delle procedure e validazione ENAC prima di ogni intervento strutturale. Infatti, si da scontato l’utilizzo di procedure non conformi al dettato ICAO per giustificare un intervento di simile portata e garantire un’economicità delle operazioni. E ci mancherebbe altro che ciò non avvenga. Vorremmo. Ma è probabile che non avvenga. Di certo dimenticheranno qualche cosa. E chi ricorda il 1998 sa benissimo che ciò è possibile. “Tu vuo’ fa’ l’americano” di Renato Carosone è più che mai attuale anche oltre il 46° parallelo.
Ogni “diavoleria” tecnologica tesa ad evidenziare una situazione critica non può certo essere rigettata come inopportuna ma non può essere, di certo, ritenuta sempre quale sistema “base”per garantire un volo sicuro. I sistemi integrati tesi a permettere una “via di fuga” a fronte di un possibile e/o probabile evento “disastroso” sono si utili ma non devono assolutamente entrare nella “normalità” applicativa delle azioni sia di navigazione sia di controllo ATC. Ovvero non è possibile operare ed agire in funzione dell’esistenza di un sistema che, in estremo, ci avverte di un pericolo imminente. Tale funzione deve essere e deve restare funzione di emergenza. Se poi i “giocatori” sono più di due le cose si complicano notevolmente. E, in questo contesto, il ricordare che una classica procedura di mancato avvicinamento è una procedura normale e non una procedura di emergenza, pare essere una precisazione dovuta e doverosa, vista l’attenzione dei media al primo sentore di un mancato atterraggio spesso “raccontato” dai passeggeri.
Oggi è marcata la tendenza ad “accomodare” il valore della capacity alla domanda sempre più crescente invece di accettarlo, come determinato, in funzione delle reali ed oggettive potenzialità offerte dalla dimensione e tipologia dello spazio aereo e del Servizio ATC possibile e sostenibile. Ieri se ne forzava il valore pressando gli operatori ad agire secondo una maggiore capacità (bravura) contingente reclamandone l’eccessiva valenza teorica del relativo calcolo e il marcato “margine” strettamente legato alla garanzia operativa in termini di sicurezza. Come a dire: c’è ancora spazio, la sicurezza non soffre e puoi stingere. Pari alle teorie propinanti le riduzioni delle separazioni in decollo o in navigazione.
Così facendo si riduce lo spazio per agire e il “preventing collisions” scivola inesorabilmente verso un “avoiding collisions”. Ma questa non è pratica primaria e funzionale di un Air Traffic Control Service. E, di certo, non è pagante in sicurezza. E, anche qui, nel comune disquisire, una maldestra e approssimata traduzione dei termini, in italiano, non manca mai.
Non sono, queste, idee di parte. Tantomeno stravaganti. Rappresentano, a parere dello scrivente, una semplice analisi propedeutica all’applicazione della filosofia di base a garanzia di una navigazione sicura.
E le osservazioni ospitate da Aerohabitat a cura del Com.te Renzo Dentesano ed in particolare quella del 16 di Settembre dal titolo “Anche l’EASA se svegliata!” mi sollecita una considerazione di “parte”, da anteporre alla situazione di wake turbulence dagli effetti così devastanti. E senza nulla togliere alle considerazioni tecniche evidenziate.
Non sarà il caso di rendersi conto che la separazione al decollo, seguente ad un B747 (e/o similari), di un minuto e 40 secondi, ha, di fatto, provocato un disastro? Teorie, statistiche e simulazioni tese sempre più a “velocizzare” i decolli e a ridurre le separazioni in genere non suggeriscono, forse, che trattasi, a volte, di forzature non del tutto appropriate se finalizzate alla primaria funzione della Navigazione e del Controllo del Traffico Aereo: la SICUREZZA?
Qualunque sia l’Organo preposto che ha sottoscritto e convalidato la sopracitata separazione ha, di fatto, fallito clamorosamente. E ha fallito, anche, chi ha accettato tutto ciò. A nulla valgono i richiami alle valutazioni, riscontri, elaborazioni e simulazioni al computer precedentemente effettuati. E ci siamo fermati e focalizzati su un probabile e possibile “punto debole” del mezzo aereo che ha subito le conseguenze. Ma quali altri tipi di aeromobili avrebbero potuto subire stessa sorte? Si vuole ancora contare su una “sfida” fra ipotesi comportamentali e fatti reali a consuntivo? Ma!!! Pare tecnica alquanto discutibile. E il piglio deciso del Com.te Dentesano rimarca l’uni-direzionalità delle raccomandazioni e/o consigli di EASA.
Ma il riscontro economico “della giornata”, in termini di fatturato, è altra cosa…..e un tecnico non potrà mai capire, pilota o controllore che sia. E la “turbulence” è sempre in agguato. E le persistenti e continue proposte di continuare a ridurre le separazioni e il sequenziamento sempre più affidato a “macchine”, decisamente eccellenti per un videogame, non fanno ben sperare.
Il profilo di evento “negativo” nella conduzione del volo e la chiamata correa del pilota e/o del controllore del T.A sono, anche esse, sempre in agguato.
E vale la pena ricordare che sul caso oggetto del disquisire pur di rendere minimali le chiare, facili, semplici ed inequivocabili funzioni di un contaminuti ( non contasecondi ) o orologio o segnatempo che dir si voglia e il suo uso appropriato si suggerisce e si sollecita l’adozione di apparecchiature capaci di stimolare l’attenzione del pilota sull’uso ripetuto ed accentuato di un comando di volo per “ammorbidirne” gli effetti a salvaguardia della sostanziale integrità della struttura del mezzo aereo. Utile, certo. E non solo in quelle particolari condizioni di turbolenza. Un ottimo “warning” per chi sta ai comandi: se insisti rompi tutto. Ma come se ne esce da una simile situazione? Non entrandoci, applicando le chiare procedure che il sistema ATC impone. Ovvero una “corretta” separazione longitudinale. E non basta una semplice e tacita condivisione e/o accettazione fra i soggetti interessati: va imposta con una decisa azione di Controllo del T.A.
Il Controllore del T.A. non dimentichi che sarà comunque il primo a doverne rendere conto perché non può non sapere e non può non conoscere le responsabilità cui è chiamato in fatto di turbolenza di scia. Anche a fronte di un’azione/accettazione “eroica” ed interessata di qualche pilota a seguito di una sollecitazione/offerta, sempre impropria, del controllore. E non c’è validazione che tenga. E in questo caso non ci potrà essere alcuna credibile difesa da parte delle associazioni di categoria. Né sindacali, Né professionali. Fatta salva un’affettuosa e dovuta vicinanza. 5 ottobre 2011
Safety: Bolla nazionale estiva o possibile contagio benefico?
Finalmente una ”voce” Nazionale. Della nostra Italia. E non solo per “salvarsi”. Ma per “salvare”. Pare proprio che la “safety” possa ritornare protagonista ed occupare il posto che le spetta. Prima dei costi. Prima della “capacity”. Prima dell’ambiente. Prima, comunque, in assoluto nel complesso contesto organizzativo del “Cielo Unico Europeo” che sta via via prendendo corpo.
La perplessità manifestata in proposito dall’amministratore delegato dell’ENAV Guido Pugliesi, intervenendo alla presentazione del Rapporto 2010 dell’ENAC, rappresenta in modo inequivocabile che le spinte impresse dall’Unione Europea per la riorganizzazione degli spazi aerei privilegiano in modo eccessivo la valenza economica (costi) e la produttività (capacity) senza dare, e riconoscere, la giusta importanza al fattore “safety”.
E’ un richiamo autorevole. Sarà ascoltato?
I rappresentanti nazionali delle varie realtà operative, tecniche e giuridiche impegnate nella progettazione e implementazione di questo importante progetto Europeo avranno la forza e la convinzione di contrastare un’eccessiva forzatura del tornaconto economico e del rendimento di un servizio essenziale, in termini di unità servite, relegando il fattore “sicurezza” ad una semplice necessità formale? Certamente nessuno nega il valore rivestito dalla “safety”. Ma oggi ciò che appaga di più è ridurre i costi, ridurre i tempi di volo e ridurre le separazioni per soddisfare una maggiore domanda e un maggiore rendimento economico. E poi, per il resto, c’è tempo. E c’è sempre la possibilità di rivalersi su chi avrebbe avuto il dovere di conoscere le criticità del sistema, disegnato su queste fondamenta, chiamandolo a rispondere in solido. Sentenze imperniate sulla “Posizione di garanzia” e sul “Profilo di responsabilità” hanno già fatto capolino, di recente. E in modo non poco eclatante.
Parlare di “sicurezza” e reclamarne la priorità equivale a giocare con il fuoco. E’ facile scottarsi. Ma se sai “giocare” riesci a dominarlo e domarlo. Prima dell’intervento dei pompieri. Certamente utili. Ma quando intervengono il danno è già stato provocato.
E’ auspicabile che l’autorevole citata sollecitazione alla “safety” non sia derubricata dai “tecnici” come semplice manifestazione proveniente da un “amministratore”. Ma, in questo caso, amministratore attento. Accorto. Come poche volte si è visto da noi. 12 luglio 2011
Non impressioni il titolo. Non si vuole certo allarmare alcuno. Ma è bene ricordare ciò che, allo stato latente, può creare seri danni agli utenti ed ai fornitori di servizi ATCS. Nessuno esclusi.
E siamo entrati in “scia” di quel “cuore” con cui ci siamo lasciati: responsabilità irresponsabile o irresponsabilità responsabile.
Le traduzioni. Le correlazioni. Le semplificazioni. Il linguaggio. La fraseologia.
Quanto oggi proposto trae spunto da ciò che si evidenziò a seguito del gravissimo incidente avvenuto sull’aeroporto Los Rodeos di Tenerife nel 1977. Incomprensioni e uso di linguaggio non convenzionale ( fraseologia ), comunicazioni TBT fortemente disturbate e altro ancora, emerse dalle indagini, sollecitarono serrati incontri di lavoro, approfondimenti e analisi in ambito ICAO. L’evento parve subito significativo nel suggerire la necessità di interventi normativi e in particolare sull’uso della fraseologia.
I termini “affirmative” e “negative” fin qui utilizzati nelle comunicazioni TBT, pare abbiano chiaramente evidenziato una possibile e probabile incomprensione, ovvero una “comprensione” di ciò che il pilota si aspettava, ma che, in effetti, gli era stata negato. E siamo in presenza di comunicazioni radio disturbate, una casistica tutt’altro che isolata. Infatti, la “coda” di entrambe le locuzioni sono perfettamente identiche e in presenza di “disturbi” o sovrapposizioni di comunicazioni non pare certo peregrino un “intendimento” parziale. E, purtroppo in questo caso, della sola parte finale. Si sa, per certo, che la fraseologia TBT non è nata in nodo casuale ma ricercata, adattata e resa funzionale al servizio delle comunicazioni aeronautiche fra piloti e controllori del traffico aereo. Ma alcuni particolari possono sfuggire per anni e anni per poi “esplodere” in modo incontrollato. E, a quanto pare, in quel lontano pomeriggio del 27 Marzo ’77 accadde anche questo.
Ecco, dunque la necessità di intervenire
Si stabili di modificare la locuzione “affirmative” in “affirm” riducendo enormemente, se non proprio eliminando, un significativo vettore di errata interpretazione quale era, la sovrapposizione della “coda” con il contrapposto “negative”. Così si racconta da più parti. E gli “aeronautici” comprendono bene la correlazione dei termini e la necessità dell’utilizzo della fraseologia standard. Forse è andata anche in altro modo ma ciò che è certa è l’azione inequivocabile intrapresa dall’organismo internazionale con il preciso intento di ridurre, comunque, ai minimi termini la possibilità di malintesi interpretativi fra il consenso e la negazione di un’azione successiva.
Orbene dopo decenni dall’entrata in vigore di questa nuova fraseologia standard “affirm” il traduttore esperto non ha ritenuto opportuno intraprendere alcuna modifica della fraseologia in lingua italiana mantenendo inalterato l’uso di “affermativo” ancora, casualmente, co-incidente nella coda con “negativo”.
Fatta salva l’evidente improprietà, visti i tempi e le tipologie delle società di navigazione ormai “globali” e l’utilizzo di equipaggi eterogenei per provenienza e per lingua madre, dell’uso della fraseologia in lingua locale è lecito chiedersi come potrebbe prospettarsi la disanima di un evento critico da parte dell’organo giudicante. Sollecitati delle ultime motivazioni di giudizio su eventi aeronautici noti ci si può tranquillamente aspettare una chiamata correa dei soggetti coinvolti, pilota e/o controllore t.a., in un qualsiasi evento “serio”, per inadempienza e per mancata osservanza applicativa di uno specifico dispositivo fraseologico riconosciuto a livello internazionale. Nella fattispecie una “posizione di garanzia” legata alla conoscenza della funzione certificata e riconosciuta. Infatti, è certo che il pilota non può non conoscere la problematica legata all’uso disambiguo di tale nuova fraseologia in lingua inglese. E così il controllore del traffico aereo. Ma nella fraseologia in italiano si disconosce, di fatto, tale disambiguità e si continua, imperterriti, a navigare nell’ambiguità. E ci sarà spazio anche per obiettare e disquisire sulla “certezza” dell’intendersi in lingua italiana fra gli attori delle comunicazioni TBT.
Molto similare appare la problematica interpretativa per la richiesta/permesso dello “start up” e del “pushback” anche se l’impatto maggiore, del primo, ha un carattere economico legato al consumo di carburate. Minore, ma non assente anche la valenza sicurezza nei confronti di terzi.
Anche qui siamo passati dal “cleared” (autorizzato) di anni fa al “approved” (approvato) di oggi.
Ma nell’inconscio di molti è rimasta azione soggetta ad autorizzazione sia in richiesta che in concessione. E poi il termine “approved”, “approvato” in italiano, non da, forse, sensazione ingannevole lasciando trasparire comunque una concessione “cleared”, autorizzata, secondo i consolidati canoni del linguaggio ATC? E non va dimenticato che in questo caso anche ICAO usa insistentemente il termine “cleared” nell’elencazione e descrizione dei vari punti del CHAPTER 7
( 7.3.1.1) del DOC 4444 per poi passare decisamente al termine “approved” quando si tratta di presentare la fraseologia standard nel CHAPTER 12 ( 12.3.4 ) riservando il termine “cleared” solo a quelle funzioni tipiche dell’Air traffic control clearance chiaramente richiamate nel CHAPTER 1. La fraseologia è stata revisionata e resa consona alle specifiche funzioni operative mentre le descrizioni nelle “procedures for aerodrome control service” restano imbrigliate nel vecchio, e passato, impianto lessicale.
Parrebbe funzionale un autorevole intervento esplicativo a tutti i soggetti coinvolti.
Pare logico, infatti, che a fronte del riscontro di un disallineamento, sia pure involontario, del corretto intendere dei termini usati si debba riscontrare un’azione informativa e di richiamo per ristabilire la corretta interpretazione. E risulterebbe azione certamente inquadrata nel contesto della sicurezza. E darebbe maggior sostegno agli operatori eventualmente chiamati in causa.
Poi l’organo giudiziario interverrà con codici alla mano. E si rifarà alla normativa internazionale o a quella nazionale? Alla fraseologia ICAO o alla fraseologia ENAC? Alla consuetudine interpretativa o al significato strettamente letterale della locuzione usata? O, forse, riterrà applicabile una riconoscendone il dovere e l’obbligo di conoscere l’altra? E’, comunque, una matassa da dipanare.
Nel frattempo si nutre viva speranza che queste pratiche operative e altre similari, e non sono poche, non trovino facile accoglienza nel documento “best practices” in preparazione dal gruppo di lavoro che si dedica al programma FAB BLUE MED tassello funzionale del futuro single sky.
E ancora una volta ci si chiede: dov’è il “regulator”, il “provider”, il “fruitore” di servizi ATC?
E’ curioso constatare che oggi, la stessa Chiesa Cattolica, disquisisca sulla traduzione in lingua italiana del Catechismo redatto in inglese. Non c’è consenso interpretativo nella traduzione e, la Chiesa, ne blocca la diffusione per paura che alcune espressioni, in italiano, lascino intendere eccessiva libertà nell’uso della contraccezione. Ovvero ciò che la versione in inglese non lascia, affatto, intendere. Almeno così si riporta. Anche qui siamo di fronte ad un intendimento lessicale non unisono per la presenza di locuzioni, di diversa espressione linguistica, che non hanno definizioni e significati perfettamente coincidenti. E in un certo qual modo sempre di “sicurezza” si parla.
E nell’italico mondo aeronautico, ancora oggi, si accettano, si usano e non si “definiscono”, e non si chiariscono, espressioni che possono influenzare negativamente la sicurezza delle operazioni pur conoscendone le potenzialità negative delle espressioni stesse.
Non è certo per caso che termini comunemente usati nel contesto ATCS come, ad esempio, “clearance” e/o “autorizzato” necessitino di relative ”definitions” nel rispettivo uso in “lingua”. ICAO tenta di farlo in ogni DOC e ANNEX e definisce, indirettamente, “cleared” ma non “approved”. Il “regulator” italiano si limita alla traduzione. E l’accetta, pure, in chiara funzione spuria.
E’ il solito chiodo fisso? Sì. E’ il solito chiodo fisso. E va battuto e ribattuto affinché possa non far male ad alcuno. Il terreno va bonificato quando emerge uno stato non salubre. Se già fatto, riconoscente sarà l’espressione di molti.
E il disincanto della superficialità dovrà pur trovare sostenitori autorevoli. E non solo a livello nazionale. La nostra “safety” chiama insistentemente a raccolta capacità, conoscenza, aggiornamento, confronto e volontà. Senza pregiudizi. Senza comode, o facili, dimenticanze. Senza distinzione di funzioni. Senza distinzioni di lingua. Senza paure. Senza compromessi. 19 aprile 2011
Non è un gioco di parole. E tanto meno uno scioglilingua. E’ l’ossimoro quotidiano che imperversa e rende la “vita” quesito indecifrabile ed incomprensibile.
Nelle recenti querelle sul mare nostrum e sulle coste nordafricane pare impossibile decifrare il superficiale uso dei termini, e relative discussioni, di “comando”, di “controllo delle forze” e di “coordinamento delle attività”. E su una “guerra” che non è guerra.
Stessa difficoltà traspare fra querelle di rilevanza pseudo politica sulla distinzione, reale od apparente, fra partecipazione a “corsi di formazione” invece che “master”, fra “corsi di laurea” e “laurea”, fra “laurea breve” e “laurea”. E poi, ancora, sulle “interviste” che non sono interviste. E via dicendo. E pare essere il diversivo nazionale del momento. Ma siamo sempre in area gossip. Anche le notizie relative alla guerra, purtroppo, sono a quel livello, fatta salva la crudele sofferenza, certa, dei civili.
Ciò che gossip non è con certezza, ed appare invece assai preoccupante, è la perversa afasia del mondo aeronautico nazionale su problematiche che, innescato un qualche evento “non funzionale” (incident/accident), riservano una ricerca responsabile di “errori e/o colpe”.
Altre volte si è richiamata l’attenzione su sentenze legate alla “funzione di garanzia” o alla “presenza di garanzia” nel comparto Traffico Aereo e all’interpretazione degli organi giudicanti sul rispetto, sul valore e/o validità delle normative internazionali, di fatto, riconosciute ed adottate dalla normativa nazionale ma derubricate, purtroppo, a consuetudine non conforme al “diritto” nazionale.
E anche qui non si tratta di un giro, vizioso, da parole e termini. E’ fatto attuale.
Orbene la recente revisione del Codice di Navigazione ha riservato non poche sorprese e fra le tante, incomprensibili, ne ricordiamo una semplice ed apparentemente insignificante ma, di fatto, potenzialmente deleteria e per ogni fruitore di servizi ATCS e per i server provider nazionali.
Di che si tratta? Il legislatore italiano, forse animato da focosa necessità del semplificare, decide di sopprimere il termine “aerodromo” e di riformularlo, per tutti e in tutto, con il più elegante e comprensibile “aeroporto”. Ma tale opzione di restyling è rimasta orfana della relativa “definizione”. E ogni interessato alle operazioni ATCS sa bene l’importanza e la funzione delle “definitions” che costituiscono l’ossatura interpretativa dei termini usati in ogni documento ICAO, tanto da essere rappresentate sempre nel “CHAPTER 1 di ogni singola pubblicazione.
Non è certo il caso di ripetere ciò che ICAO intende per “aerodrome” ( aerodromo). E’ il caso di rimarcare, invece, che nel contesto ATCS l’organismo internazionale non menziona affatto il termine “airport” (aeroporto).
Ora, a fronte di una chiamata da parte dell’organo giudiziario a rendere merito delle proprie azioni funzionali nel/sul sito “aeroporto” di ogni utente e ogni server provider che segue ed insegue DOC ed Annex, nei quali tale termine non compare, quale disanima utile potrà essere effettuata in nome del “diritto”?
Pare che in prospettiva si manifesti una nuova opportunità ovvero un possibile ricorso civile contro “una violazione manifesta del diritto” nei confronti di chi del diritto è custode. Ma a chi può giovare un simile groviglio inestricabile? Di certo non all’utenza. E nemmeno ai provider. E ben che meno ai passeggeri ignari di cotanta confusa normativa. Ed è altrettanto certo che tutto ciò non ha nulla a che spartire con il nobile tentativo di cercare di operare in funzione propedeutica ad un incremento dell’azione operativa tesa a garantire, sempre, maggiore sicurezza.
La semplice spontaneità spinge a chiedersi se c’è qualcuno, autorevole, che con cognizione di causa possa scardinare il primo anello della catena perversa, che lega inesorabilmente piloti, controllori e addetti al servizio ATCS in genere, rappresentata dall’ambiguità dei termini e terminologia usati e della correlazione degli stessi espressi in lingua inglese e tradotti in lingua italiana? Abbiamo un bel dire: usiamo solo la lingua inglese. E’, senza dubbio, atto dovuto, doveroso ed auspicabile. Le riserve vengono, ancora, dal “diritto” che, a quanto pare usa esclusivamente la lingua italiana e, a volte, ignora anche una corretta disponibilità di un’accettabile correlazione. Quando c’è correlazione.
E l’abrogazione del termine aerodromo nel nuovo Codice della Navigazione ne è solo un esempio di impossibilità di correlazione funzionale con il termine aeroporto. In termini ATCS.
E’ chiaro il perché dell’esprimersi del “nostro diritto” in lingua italiana. Non è assolutamente chiara, e tanto meno accettabile, l’azione determinata a rendere necessaria e complessa un’interpretazione di termini quando esiste la provata opportunità di non ricorrere ad alcuna interpretazione.
Dove sono gli “esperti in pilotaggio, navigazione e controllo”, già in quiescenza, che prestano consulenza all’organo regulator e agenzia SV perché ritenuti capaci di comprendere problematiche operative e capaci di esprimersi e relazionare correttamente? E dove sono quelli “regolarmente” in servizio?
E così del quesito iniziale resta certa, ed inesorabile, solo la parte centrale. E non è consolante di certo. Parafrasando un vecchio spot pubblicitario che più o meno recitava: ”Butta la testa, butta la coda e tieni il cuore”. Ecco, appunto. Ma di ben altro “prodotto” si trattava. 17 marzo 2011
Nelle “Mille e una notte” si racconta che la bella Sharàzàd, andata in sposa al re persiano, escogitò un trucco per salvarsi, consapevole che il re aveva deciso di uccidere le sue nuove spose per vendicarsi del tradimento ricevuto da una di esse: ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno successivo. Con questo semplice espediente narrativo il re finisce con l’innamorarsi veramente di lei e le salva la vita.
Nella stessa raccolta troviamo anche la novella “Aladino e la lampada magica”. E tutti noi conosciamo gli effetti, magici, dello “strofinio” della sua lampada o del suo talismano.
Oggi, a dieci e più secoli di distanza, è l’Europa che “si racconta” attraverso un programma, lungo più lustri, molto impegnativo, affascinante, tecnologicamente avanzato e proiettato a risolvere le problematiche legate alla navigazione aerea che si danno per certo presentarsi a partire dal 2020. Almeno così si desume dalle manifestazioni d’intenti contenute nel programma.
SESAR, appunto (Single European Sky ATM Research). In sintesi: cielo unico europeo.
Al di là dei nobili intenti programmatici sostenuti da una forte e solida filosofia politica e industriale impressionano, non poco, i necessari interventi di tipo “educativo” fortemente cooperativo ed interdisciplinare per poter raggiungere l’obiettivo finale.
Si ipotizzano, giustamente, necessità formative del personale addetto basate su parametri completamente nuovi rispetto a quanto fino ad ora applicato. E vale per i controllori del traffico aereo. Vale per i piloti. Vale per tutto il personale addetto alla attività del volo e del trasporto aereo.
E tutto deve essere armonizzato e concatenato. Attività e professioni, finalmente, in simbiosi per raggiungere un obiettivo comune: trasporto e navigazione aerea SICURA, ORDINATA e SPEDITA, secondo la terminologia di oggi. Per il “domani” si parla, anche ed insistentemente, di costi di esercizio notevolmente ridotti, di drastico ridimensionamento dei ritardi e di un significativo incremento del fattore sicurezza (???) e..via elencando.
E l’ordine di elencazione non è affatto casuale. Politica e industria non intervengono mai casualmente. Tematiche decisamente allettanti. Tematiche che alimentano, purtroppo, anche una valenza di preminente interesse economico. Tematiche che colpiscono chiunque. Ma...?
- I controllori del traffico aereo necessiteranno di un maggiore impatto conoscitivo con le problematiche del volo, oggi purtroppo relegate ad una semplice appendice, e con la nuova filosofia di “spazio aereo” e di “rotte”;
- I piloti necessiteranno di una più specifica conoscenza del ATC rimodulando il concetto autoctono da “servizio supplementare” a “servizio funzionale”;
- L’ente “regulator” dovrà acquisire competenze specifiche sulla complessità ATM, obbligatoriamente in modo “diretto e compiuto” e non “ per deroga”;
- Il complesso mondo aeroportuale dovrà andare ben oltre gli attuali confini di conoscenza ATM;
- Il legislatore dovrà recepire, inesorabilmente, le novità che incidono, in modo significativo, sul complesso servizio del trasporto aereo;
- L’organo inquirente dovrà assimilare una tecnica investigativa conforme alle disposizioni riconosciute ed accettate a livello europeo e/o internazionale
- L’organo giudicante dovrà adeguare i parametri di giudizio alla conformità delle norme e leggi accettate ed applicate dagli organismi competenti ed esso stesso dovrà acquisire competenze specifiche...e c’è dell’altro ancora, ma lo riserviamo per la prossima occasione.
Pare essere questo, e per oggi, sufficiente a richiamare l’attenzione del mondo ATM sul prossimo futuro alla luce di due eventi significativi portati alla ribalta, di recente, dai media: uno di carattere politico ed uno, non meno serio e decisamente più complesso, di carattere giudiziario.
Il primo. Pochi giorni orsono il Capo di Stato Maggiore della Difesa, gen. Vincenzo Camporini, in occasione del passaggio di consegne al nuovo comandante gen. Biagio Albrate recitava testualmente e fra altro “non sono stato neppure capace di unificare ed accentrare le strutture delle singole forze armate per l’insegnamento delle lingue straniere... E non si trattava certo di una denuncia delle sue incapacità bensì di mancata volontà e riscontro della “politica”.
Il secondo. E’ sul finire dello scorso anno che la Corte di Cassazione sentenziò, nel modo a tutti già noto, in relazione all’incidente di Cagliari del 2004.
Ora, a fronte di questi presupposti, quanto possono apparire credibili ed attuabili, in Italia, i buoni propositi del programma SESAR in termini di cooperazione, istruzione ed addestramento di personale appartenente ai più svariati Organismi, Enti e Società nazionali molto spesso spinti da interessi contrapposti e nella fattispecie propensi a “fatturare” inefficienze sempre agli “altri”?
E, ancora, come è possibile ipotizzare una “compressione” del traffico per aumentare le “capacity” attraverso, anche e non solo, una riduzione delle separazioni ed un coinvolgimento del pilota per mantenere le stesse “per delega ” in condizioni “ogni tempo” ?
La maggiore “capacity” degli spazi aerei che ne deriva, in TMA, potrà essere assorbita in continuità, e non solo occasionalmente, senza danni, dagli aeroporti esistenti (o sistemi aeroportuali)?
La cooperazione controllore/pilota, che sino ad ora si è sempre manifestata come azione fredda, quasi obbligata e relegata alle funzioni di pertinenza, circoscritta al collegamento TBT, riuscirà ad emergere con l’autorevolezza dovuta?.
E quando si è tratterà di “giudicare” e disquisire competenze e funzioni si riuscirà a farlo senza scaturirne un “botto” improduttivo, e a volte devastante, come è avvenuto, quasi sempre, sino ad ora?
C’è qualche cosa che non “quadra” di certo.
E anche l’automazione esasperata fa la sua parte. Le ipotizzate rappresentazioni in 3D e in 4D che nello scenario finale dovranno supportare pilota e controllore per “prevenire collisioni” appaiono, per certo, le moderne “lampade di Aladino” ovvero le “lampade SESAR” ad uso e consumo di chi dovrà assolvere a tali impegnative funzioni. A patto che vengano “strofinate” in cooperazione, condivisione e conoscenza. Ed in contemporanea. Dal pilota e dal controllore naturalmente. Se anche altri si inseriscono nello strofinio il caos è assicurato.
Ed è solo per scaramanzia che non aggiungiamo, anche, che tutto ciò sarà possibile solo a fronte di una certezza comprovata della “capacità e conoscenza” del cooperatore. Nello strofinare, naturalmente. Vale la pena ritornarci sopra al più presto. Buona fortuna ragazzi. 4 febbraio 2011
Non sempre il susseguirsi delle stagioni risulta essere chiara espressione degli eventi meteorologici. Anticipi e ritardi sono assai frequenti. Da sempre. Ma quest’anno la puntualità non è, di certo, mancata. E le previsioni restano pur sempre “previsioni”.
Ma ce ne scordiamo facilmente. Come ci scordiamo facilmente le “difficoltà” nei trasporti, in genere. E quelli aerei in particolare. E ci scordiamo, sempre, quelli degli altri.
Cosa sarebbe successo in Italia se un aeroporto qualsiasi si fosse trovato in difficoltà per mancanza di liquido antigelo? O più semplicemente per difficoltà/ritardi nelle opere di spazzamento neve? E’ vero, la neve è neve. Ma non tutta la neve è uguale. O meglio le condizioni meteo non sono sempre uguali nonostante ci si trovi di fronte ad una precipitazione nevosa. Condizioni e problematiche che valgono per tutti. Sempre. Sia per Francoforte, sia per Londra, sia per Bruxelles, sia per Parigi. Siamo certi che non vale per Linate, Malpensa, Fiumicino e così via, a seguire, quando toccherà a loro.
Oggi, intorno al Natale, la situazione e le difficoltà degli altri è nota.
Aspettiamo. Aspettiamo. Per il “massacro” casalingo , e di rito, c’è sempre tempo. 27 dicembre 2010
I media e, di riflesso, la società civile sono, a loro modo, partecipi attivi nella interpretazione di ciò che rappresenta il risultato di una indagine investigativa, di una inchiesta o di una sentenza su eventi che, per loro natura, coinvolgono emotivamente l’opinione pubblica in genere. A volte anche le associazioni all’uopo costituite rappresentano una valenza significativa a cui risulta difficile negare una attenzione, sia pure misurata. Non di rado si registrano anche espressioni di plauso, anche se contenute, a fronte di “veloci e determinate” sentenze definitive che permettono, di fatto, una sola cosa certa: il risarcimento. E a volte succede.
Le inchieste “fotografano” il momento principe dell’evento demandando all’autorità giudiziaria preposta la definizione delle responsabilità. Presunte e/o di fatto. A dire il vero, a volte, le “fotografie” appaiono sfuocate. Ma così è. E non c’è associazione che tenga, quando nata su input dell’evento, che possa, di fatto, manifestare interessi diversi dalla giusta necessità di essere annoverati quali difensori del diritto ad essere risarciti. Il resto, purtroppo, pare essere solo esercizio per rendersi “visibili.
Confortati, anche, dall’aiuto e dalla collaborazione di qualcuno che avrebbe dovuto manifestare attenzioni e azioni diverse da quelle poste in essere, nell’esercizio delle proprie funzioni, nel periodo antecedente all’evento. Ed è proprio questo il punto cardine su cui focalizzare l’attenzione per contribuire a far si che eventi similari non abbiano a ripetersi. Appare decisamente riduttivo circoscrivere l’evento senza porre in evidenza ciò che ha contribuito, in modo significativo, a generare il substrato negativo responsabile del fatto. Ma avviene sempre così. E’ la storia degli eventi nazionali che si ripete. Sempre. Indistintamente.
E la specifica riflessione di oggi trova ancoraggio sull’evento, grave, avvenuto sull’aeroporto di Milano Linate. Lunedì 8 Ottobre 2001. Come semplice lettore e, anche, come testimone dei fatti.
A prescindere dall’esistenza o meno del radar e dagli sfibranti, indecorosi ed indegni rimpalli sui mancati interventi strutturali e di supporto tecnico emersi in fase dibattimentale.
Ciò che allora si leggeva chiaramente come difetto, ma sistematicamente sottovalutato dagli organi apicali, era l’incomprensibile perdurare della mancanza di un dirigente dedicato per Linate, capace di assumere l’onore e l’onere di rappresentare quella tanto reclamata e discussa “posizione di garanzia” che ha fatto capolino anche in non poche sentenze successive e relative ad altri eventi nel comparto “aviation”. Tutti hanno preso le distanze. Tutti hanno reclamato giustificazioni a propria difesa. Ma era altrettanto noto a tutti che dal 1994 perdurava, a Linate, una gestione direttiva affidata “ad interim” a vari Direttori di Milano ACC, essa stessa ad interim per un periodo decisamente significativo, che sbrigavano la “burocrazia”, quando necessitava, delegando, di fatto, ai locali “reparti” la quotidiana direzione dell’operativo. E in aggiunta a Linate si associava anche la gestione di Malpensa. Quando non c’era in contemporanea anche Padova ACC e Brescia Montichiari. E, forse, dimentico altri. Come Orio al Serio ad esempio. Comunque può bastare. Vero? E tutti conoscevano la disarmante precarietà gestionale e la discrasia fra i “reparti” di Linate in continua contrapposizione fra loro a causa del persistere di un fattore miopatico di natura tecnico/culturale nei responsabili stessi. Realtà che degenerava giorno dopo giorno. E imperterriti si rimandava. Si rimandava. E mai fu azione più fallica.
Poi, finalmente, nel 2003 si pose fine a questa assurdità gestionale e direttiva. Ed è accaduto a seguito di ciò che è, ancora, a tutti noto.
Altra valenza non positiva, decisamente più tecnica, appare l’affido della “ground” a Controllori di “prima abilitazione” o assimilabili. Così come avviene in una ACC con la frequenza del FIC (Servizio Informazioni Volo dedicato in prevalenza ai voli VFR all’interno della FIR ,Regione Informazioni Volo). E non aiuta certo il richiamo formale alla responsabilità finale “in pectore” del Capo Sala/Supervisore a volte “distratto e/o impegnato” in altre incombenze. E i fatti ci confortano, purtroppo, su questo.
La “ground” di Linate, Malpensa, Fiumicino ed altri aeroporti assimilabili per struttura e complessità così come la frequenza FIC delle ACC devono essere affidate a persone esperte e che conoscano molto bene, rispettivamente, l’aeroporto e il “territorio” della FIR di competenza. Le procedure e il loro impatto. La quotidianità operativa base e le valenze occasionali…e così via.
Ma, è noto da sempre, che è estremamente difficile sradicare una tradizione radicata. Anche frutto di eredità. E fa storia. E tuttora è fatto certo, nonostante le manifeste e persistenti criticità. E questo non è certo un viatico positivo verso l’incremento della “safety”. Come non hanno niente a che spartire, come contributo positivo e come valore aggiunto alla “safety”, le partecipazioni ad “honorem” in organizzazioni Nazionale e/o Internazionali dedite a promuovere la sicurezza. La sicurezza dei voli. E di questo stiamo parlando.
La sicurezza ha bisogno di fatti certi. Di conoscenze certe e qualificate. Di cultura dedicata. Le chiacchiere distolgono l’attenzione dalla realtà. E questo è danno irreparabile. E l’emotività non può promuovere una politica operativa certa e proiettata alla “safety” del futuro. C’è, ancora, del lavoro da fare “to increase a safety flights”. Lavoro diverso, s’intende.
E, questa, non è polemica. Ne astratta e ne fuori luogo. E’ guardare la realtà. E’ espressione di speranza in interventi qualificati. A partire da domani. Qualora si registri e si manifesti la disponibilità dei soggetti qualificati in particolar modo nell’Ente Regulator, nella Società provider e nelle Istituzioni all’uopo preposte in ambito Nazionale. Se ci diranno che stanno già lavorando sin da ieri, non può che renderci ansiosi ed attendere risultati positivi con la convinta, doverosa e dovuta certezza che i tempi non saranno tanto brevi. Non certo per tracimazione di pigrizia. Non certo per mancanza di volontà. Semplicemente per una naturale tempistica insita in una azione operativa dedicata che non è sempre di facile e immediato riscontro oggettivo .
Quanto prodotto da una “just culture”, per poter essere raccolto, và prima promossa e poi coltivata. La just culture ovviamente. Anche se è ormai noto che da noi, in Italia, non è certo “cosa” che possa interessare molti. Tanto meno l’Organo Giudiziario.
Ed è, appunto, l’ultima sentenza della 4° Sezione Penale della Cassazione, sull’incidente di Cagliari, che ci ricorda, se non altro, quanto sia difficile, estremamente difficile, dimostrare la propria correttezza professionale anche quando operi in accordo alle leggi e ai dispositivi in vigore. Quando leggi e dispositivi tecnici sono alla mercé di un arbitrio giudiziale che non possiamo, di certo, definire “non libero” avviene anche questo.
Figuriamoci poi cosa potrà accedere se ci troveremo di fronte a situazioni incerte e chiaramente fallaci, magari pendenti da anni e anni, e non definite ne da leggi ne da dispositivi in genere.
Una cosa è chiara: il Controllore del Traffico Aereo non dovrà mai più rendere, o accettare, che il Pilota sia, o possa essere, compartecipe condizionale in nessuna operazione legata al Servizio di Controllo del Traffico Aereo. Basta, e avanza, quanto dovrà eventualmente rispondere delle sue azioni “senza compartecipazioni”. Una autorizzazione ad atterrare, decollare, occupare/attraversare una pista non potrà e non dovrà più essere subordinata ad un evento futuro, la cui rilevazione sia demandata al pilota. Cosi il “vedi, (valuta) e separati” e il “vedi, (valuta) e atterra/decolla” non potranno più trovare applicazione alcuna. La “sicurezza” non degraderà di certo. “L’ordine” delle operazioni sarà garantito. La “speditezza” subirà un rallentamento. Ma sarà del tutto salutare. E lo sarà per tutti.
Le sollecitazioni qualificate non mancano e non mancheranno. E sarà molto difficile andare oltre. E il futuro non sarà facile. Una “condanna penale” prevale su ogni forma di “espressione culturale”. Su ogni espressione “funzionale”. Su ogni “disponibilità diversa”. Su ogni azione “compartecipata”. Siano esse fra le stesse funzioni di un provider o fra provider ed utenti.
Piloti e Controllori del Traffico Aereo sappiano trovare, con convinzione determinata, una azione funzionale operativa che li renda, il più possibile, non attaccabili. Pur sapendo che in caso di “eventi” saranno comunque “attaccati”
I colleghi di Cagliari hanno fatto tutto ciò che dovevano fare. Per l’organo giudiziario non è bastato. Avrebbero dovuto fare ciò che non era, e non poteva essere, di loro competenza. Ciò che non era, e non poteva essere di loro conoscenza. E l’ennesimo ossimoro giudiziario ha dettato sentenza. 21 dicembre 2010
L’inevitabile e naturale rincorrersi delle stagioni, almeno fino al momento in cui l’uomo saprà fare uso consapevole, cosciente e rispettoso delle risorse naturali, fissa ed evidenzia anche delle ricorrenze storiche significative quali, ad esempio: la rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre e il Settembre ’43.
Distanziate nel tempo e negli intenti fondamentali. E non sempre supportate da convinzioni certe. La seconda, in modo particolare, espressione delle tipiche brumose giornate autunnali. E fioriscono, sistematicamente contrapposizioni e verità di parte quasi fosse l’appartenenza ideologica a dettare la trama. Ed è noto che la storia è fonte sistemica anche del vivere contemporaneo.
E’ in questo contesto stagionale che trova collocazione un tragico evento aeronautico senza pari in termine di perdita di vite umane, dal dopoguerra ad oggi, sul suolo nazionale. E non sono mancati, e non a caso, neppure eventi e sollecitazioni improprie di natura “gestionale” di “cosa dello Stato” che in sintonia con la brumosità tipica della stagione autunnale hanno lasciato segni tutt’ora visibili (19 Ottobre 1979).
E non sempre segni positivi. Ma il “ricordo” serve anche a non farci cadere nell’oblio. Ed è per questo che, all’approssimarsi di tali ricorrenze, si ritiene utile formulare alcune considerazioni sui fatti trattati dai preposti alla ricerca della “verità”.
Pare ormai assodato che nella ricerca della “verità” di un qualsiasi evento, anche disastroso, ci si debba barcamenare fra “verità” appartenenti a espressioni diverse, purtroppo di parte e, come tali in conflitto di interesse, poco inclini ad evidenziare il vero filo conduttore dell’evento.
E’ ciò che appare ogni qual volta il “mondo che ci circonda” viene chiamato ad indagare, informare, descrivere, valutare e sentenziare responsabilità sull’accaduto.
In questo ultimi trent’anni, in casa nostra e nel comparto “aviation”, non sono mancati, purtroppo, eventi seri e disastrosi che hanno innescato una giusta e doverosa ricerca della “verità” a garanzia del Diritto Civile e Penale di ogni cittadino. E senza dimenticare eventuali “ritocchi” tecnico/operativi utili per il futuro a prevenire e tutelare la pubblica incolumità.
I percorsi processuali, però, ci lasciano alquanto perplessi. E paiono discostarsi, decisamente ed in modo significativo, dal reale evolversi degli eventi strettamente concatenati con “l’ambiente” operativo spesso non compreso a fondo.
E la base di partenza è radicalmente focalizzata su almeno tre livelli di “verità”:
- la verità dei fatti;
- la verità giudiziaria;
- la verità dei media.
E ci fermiamo qui per non ingarbugliare troppo la matassa di per sé già aggrovigliata.
Appare quasi sistematico che la “verità” giudiziaria guardi alla “verità” dei fatti anteponendo, molto spesso, necessità della “dottrina del diritto” a scapito della piena e completa comprensione della effettiva realtà. E a volte anche il “diritto” subisce delle distorsioni, di fatto, incomprensibili ai più.
E’ accaduto con il percorso processuale relativo al disastro di Ustica 1980 e di Linate 2001 e 2003. E di Cagliari 2004.
Produrre una simile “verità” non rappresenta certo la vera natura dei fatti e non ha alcuna funzione propedeutica per il futuro. E così anche la giustizia pare inciampare.
Con tutto il rispetto dovuto, e doveroso, all’Organo Giudiziario e ai gruppi organizzati in “memoria” non pare che il percorso alla ricerca della “ verità e della giustizia” abbia portato alla chiara ed inequivocabile individuazione delle reali responsabilità. lasciando, di fatto, senza risposta il pur nobile e condiviso presupposto dell’intento sollecitativo affinché un fatto similare “non abbia a ripetersi in futuro”.
Un esplicito e forte richiamo sul tema lo presenta con “Giustizia e verità” il Generale e già Senatore Vincenzo Ruggero Manca, nel trentennale della tragedia di Ustica. Spiega “la prevalente disinformazione con un immaginario collettivo alimentato da false verità risultate prive di riscontri processuali”. Si chiede: perché la giustizia non ha prodotto la verità? E si interroga del danno causato dalla mancanza di verità. E non esita ad attribuire a tutto ciò un “impatto devastante sulla società” (rife n°7 Aeronautica 2010).
E ciò si ripete, ancora, con i fatti del terzo millennio
Si sono sistematicamente manifestate ripetute ipotesi di reato in nome del “diritto” e tentativi di sovrapposizione di “verità” diverse in nome della giustizia (quale?). Non sono mancati conflitti fra Organi, Enti e Società d’Istituto. E non sono mancate, purtroppo, squallide contrapposizioni testimoniali per “dirottare” indagini su fatti e azioni di natura gestionale con il semplice obiettivo di “scaricare sugli altri” pesi ingombranti e non sempre propri di una sana gestione (Linate 2001).
Si attivano consulenze tecnico/investigative che, poi, si rivelano incestuose e se ne fa, spesso, arbitrio sulle valutazioni delle stesse, ignorando di fatto rilievi e considerazioni anche significative.
Sempre in nome del diritto. Sempre in nome della giustizia. Sempre in nome e per conto della verità (quale?)
E senza offesa per alcuno, e con una grande stretta al cuore, quanto accaduto nella ricerca della “verità” nei fatti ricordati pare decisamente essere frutto associabile a una tipica commedia all’italiana che il noto regista Mario Monicelli nel 1966 portò sugli schermi: Armata Brancaleone. Locuzione intesa solo come comune antonomasia della lingua italiana: ovvero un “gruppo” inconcludente e male assortito che detta verità in palese contrasto con la “verità”. 7 ottobre 2010
by ATC BATTER
Autorevoli esperti non mancano di richiamare l’attenzione sulla diffusa rincorsa ai sistemi di “automazione dei cockpit” ovvero di tutti i sistemi che governano, nel complesso, l’intera macchina “volante”. E non solo (www.aerohabitat.eu - Aviation topics ).
E si tratta, prevalentemente, di piloti.
A nessuno sfugge, vista la complessità dei mezzi e dei sistemi di oggi, la necessità di implementare i circuiti di controllo “parametrici” e al fatto che gli stessi possano essere sistematicamente legati ad azioni automatizzate dirette alla corretta condizione del mezzo stesso. E mai nessuno, oggi, potrebbe pensare di contare sulle proprie capacità uditive per accertarsi della funzionalità dei propulsori. E tanto meno riporre nella sensibilità del proprio “lato B” il fattore centrale di rilevamento del corretto procedere del mezzo in volo.
Tutti ne sono convinti dell’utilità dei sistemi automatici di rilevamento.
Ma non tutti sono altrettanto convinti dell’attuale esasperata propensione, dell’industria manifatturiera aeronautica, a rendere automatica ogni azione di governo del mezzo, in modo sistemico. Pare esistere una filosofia produttiva, amata anche dai vettori e delle società di servizi ATS, che lega sistematicamente il complesso delle “automazioni e automatismi” adottati ai risultati di economicità, efficienza e sicurezza del mezzo e del servizio proposto.
Non sfuggono, di certo, i rilievi, autorevoli, degli stessi professionisti qualificati, che, di fatto, reclamano in sostanza, e ad alta voce, la necessità di riordinare i termini dell’essere impresa di trasporto aereo e di servizi ATS secondo i parametri di: sicurezza, efficienza ed economicità.
E sono gli stessi menzionati pocanzi.
Ma non nello stesso ordine prioritario. E non è cosa da poco.
L’elenco di “inconvenienti/incidenti” legati alla necessità di fare “economia” pare non manchino di certo. E toccano e i vettori e le agenzie di servizi ATS. E non solo.
E non manca, neppure, il richiamo autorevole e preoccupato, della contaminazione, che questa esasperata filosofia dell’automazione, perpetra ai danni del Servizio di Controllo del Traffico Aereo. Sì, è proprio così. Oltre ad un certo limite l’automazione crea anche dei danni. E il richiamo, guarda caso, è ascrivibile ancora a personale non controllore. A dei piloti, appunto.
Si trovano ampie spiegazioni di come il pilota “perda cognizione e sensibilità” quando si affida, inesorabilmente, alla disponibilità “automativa” proposta e, di fatto, imposta dall’industria. E si ipotizza un suo possibile e probabile decadimento delle capacità basiche.
Nel servizio ATC accade la stessa cosa.
Ma l’impatto che provoca la “perdita di cognizione e sensibilità” di un Controllore del TA, magari di Terminale o di APP, assume, di certo, effetti notevolmente più devastanti. La condizione che induce una esasperata automazione, sia pure limitata al trattamento dati di volo e alla gestione previsionale del volo stesso con le variabili che ne derivano dall’aggancio di un sistema multi - radar e di una rappresentazione in parte “esplicita” (direttamente evidenziata) e in parte “dormiente” (richiamabile a domanda), è deficitaria in quanto riduce notevolmente il feed-back del Controllore.
Pare, infatti, assolutamente non accettabile, per una corretta e cosciente gestione del traffico, riporre nel ricorso a flash-back occasionali tutta la fiducia operativa, ogniqualvolta il sistema si presenta “squilibrato” o per una semplice disfunzione tecnologica o per un eccessivo impegno dell’operatore ATC a “gestire” il sistema stesso.
Le stesse lungimiranti aspettative che l’industria specializzata ripone nei succedanei tecnologici alternativi in caso di avaria del sistema primario, paiono ben poca cosa sull’effettiva necessità del “disporre” del Controllore per poter gestire il traffico secondo i parametri definiti. E non è minore l’aspettativa riposta dall’Agenzia provider.
Si dà per scontato che il Controllore abbia capacità di “reset ”delle posizioni, dati e presentazione avvalendosi di sistemi riassuntivi, riduttivi e, quindi, anche con “presentazione” diversa resa disponibile in sostituzione della precedente. Se così fosse ogni problema sarebbe risolto. Ma così non è. Lo si dà per “scontato”. E non lo si dice nemmeno.
L’appello (invito) di ANACNA, apparso su Air Press n° 12/2010 pag 376, rivolto ai Controllori del Traffico Aereo a non autorizzare più il Visual Approach, in seguito alla sentenza del Tribunale di Cagliari sull’incidente aereo del 24 Febbraio del 2004, pare particolarmente significativo.
E’ doveroso augurarsi che non si debba ripetere, ancora, per altre circostanze.
Il dubitare sul come verrebbe analizzato l’intervento del Controllore, per altro dovuto e doveroso in qualsiasi situazione, a seguito di una “caduta del sistema primario”, fortemente automatizzato, pare non essere proprio un esercizio tanto riprovevole. Abbiamo imparato, in questi ultimi anni, che il richiamo e il ricorso alla “Posizione di garanzia” è prassi, quasi, consolidata. Ma non è affatto consolidato il “processo di modernizzazione del nostro ordinamento giuridico a favore di un sistema giudiziario in grado di comprendere il sistema “aviation” in tutte le sue componenti ed intercettarne la complessità” concetto per altro richiamato, con forza e con determinazione, nello stesso appello ANACNA.
E, sempre in tema di automazione esasperata, un velo pietoso va steso sulla problematica incalzante dell’imminente apparizione degli UAV/UAS negli spazi aerei in condivisione con traffico controllato e “sul’assordante silenzio di Piloti e Controllori” reclamato dal Com.te Dentesano (www.aerohabitat.eu Aviation topics )
Ma pochi se ne preoccupano. E lo scontato schermire di “partecipazioni passate”, non più in linea con la “modernità attuale”, è gioco da ragazzi. Anzi, ogni giorno, si propinano progetti innovativi di automazione in nome e per conto di una maggiore “capacita” a soddisfare una maggiore domanda salvaguardando, sempre, l’immancabile sicurezza.
Ma anche qui, la sicurezza, la si rammenta alla fine, dopo aver parlato di numeri crescenti in termini di voli e di risparmio carburante, di separazioni ridotte, di minor personale impiegato, ect, ect. Pare accettabile una tale discrasia? Certamente no.
Ma oggi, pare, non essere “pagante “ interessarsi di ciò. Né per i Piloti, né per i Controllori.
Oggi anche al Controllo del Traffico Aereo si propongono postazioni operative colloquianti.
“On line“ altamente automatizzate da condizionare la funzione, umana, dello stesso Controllore, alla capacità di presentazione delle elaborazioni del computer, con drastica riduzione delle capacità percettive e cognitive della reale situazione operativa
Il Com.te Dentesano definiva l’uso e l’attenzione del moderno pilota come una quasi funzione da dipendenza psicopatica da computer. Nel contesto ATC, sia a livello strategico che tattico avviene la stessa cosa.
Non dimentichiamo come i computer, pare, abbiano trattato, in automatico e per conto di un’automazione che si rendeva succedanea a personale operativo, il trasferimento dei dati di due voli che poi hanno tragicamente impattato fra loro sul confine svizzero-tedesco nel recente passato.
E, quali partecipi quotidiani di contesti similari, non dimentichiamo la problematica della “Posizione di garanzia” e del “Profilo di responsabilità”, già emersa dalle diverse sentenze relative ad incidenti aviatori di questi ultimi trent’anni, a carico dei Controllori del Traffico Aereo. E non solo.
Dovremmo forse definire anche il limite che viene concesso all’elaborazione del computer oltre al quale è d’obbligo l’azione umana del Controllore per non incorrere in un reato?
O ci pensa l’automazione stessa a definire tutto ciò presentandoci, in chiave simbolica, la “dead line”? Pare un’assurdità. Vero?
Ma noi viviamo di assurdità. Eh, già! La rassegnazione non è forse, e spesso, un’assurdità?
Non siamo forse di fronte ad una degenerante ed eccessiva filosofia dell’automazione ?
Se è così va curata come malattia, con ogni mezzo, anche perché intacca l’attenzione basica di chi è preposto alla gestione operativa in momenti funzionali anche delicati. E a cui se ne chiederà, poi, conto. 27 marzo 2010
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