Considerazioni del Com.te Renzo Dentesano
Pare sia un virus … Mi stavo già meravigliando:- eravamo giunti alla mattina del 26 Giugno 2010 e… ancora nessun articolo giornalistico, nessuna celebrazione, nessun documentario, nessun film (neppure la presentazione di quella “bufala” del “Muro di gomma”, finito miseramente con la sentenza del Tribunale di Roma che assolveva i Generali dell’A. M. da un’accusa di tutt’altro genere) ; insomma niente di tutto quel che, da 29 anni a questa parte, iniziava almeno un mese prima del 27 Giugno, giorno definito del “Mistero di Ustica”.
Sia ben chiaro che, detto con tutto il rispetto dovuto alle povere vittime innocenti e per quei loro parenti che si sono comportati dignitosamente nel loro dolore, senza scandali e solo giustamente chiedendo l’accertamento della verità a fini di Giustizia, quello di Ustica poteva esser definito un “mistero” fino a quando, con colpevole ritardo, la Giustizia italiana non si è prodigata per recuperare quel relitto, del quale non c’era traccia che parlasse con evidenza di quanto accaduto. Invece, approfittando della situazione nel Mediterraneo, per quanto riguardava la “guerra fredda” in corso, tutte quelle masse nazionali che non tifavano né per la Nato né per il proprio Paese, si scatenarono in campagne di stampa ed altro, per gettare quanto più fango possibile sui vertici dell’Arma Azzurra del tempo, accusandoli di non saper difendere lo spazio aereo del nostro Paese o d’esser colpevoli di trame d’alto tradimento.
Così evidenze molto delicate e che già contenevano alcuni elementi esplicativi furono dati in pasto sia ad una Commissione d’inchiesta tecnico-formale composta per l’occasione con membri “esperti” di tutto e di niente, ma senza la partecipazione d’un solo Investigatore certificato e degno di questa definizione. Poi, in mancanza d’un Ente investigativo nazionale, il tutto finì in mani ancora più squallide e sprovvedute dei membri di diverse Commissioni peritali nominate dalla Magistratura, le cui inchieste effettuate con mezzi e metodi improvvisati, finivano per contraddirsi l’un l’altra.
Poi finalmente si arrivò ad un primo recupero di parti dell’aeromobile I-TIGI – volo Itavia 870 – tra cui il registratore delle voci della cabina di pilotaggio, che rendeva disponibili due importati elementi, che qualora fossero stati valutati nella giusta luce e collegati alle registrazioni dell’unico Radar civile italiano che fin dal primo giorno dimostravano che attorno al volo Itavia 870 non c’era stata nessuna battaglia e che i tre “angeli”, scambiati da alcuni “inesperti” di radar avevano fatto gridare alla presenza d’un aereo supersonico che avrebbe attaccato il volo civile, erano soltanto segnali spuri. Poi un altro inesperto di radar civili (era un radarista navale nordamericano) intorbidò ulteriormente le acque parlando dello scoppio vicino all’aereo di un missile aria-aria di prossimità, del quale però non si trovò traccia alcuna quando l’intero relitto fu finalmente recuperato e reso disponibile, ancora una volta purtroppo, a mani e menti inesperte di investigazioni d’incidenti aerei.
Due elementi del Registratore CVR, erano indicativi:.-
il primo: l’interruzione della registrazione avvenuta mentre l’apparato memorizzava un forte sibilo di aria che usciva con violenza dalla cabina pressurizzata, indicando il verificarsi d’una decompressione esplosiva;
il secondo: la voce d’uno dei due piloti (mai accertato quale dei due fosse) che stava pronunciando una parola di stupore o di avvertimento all’altro, parola che rimane mozzata. La parte di parola era “Guar…”, interpretabile come qualcosa che poteva indicare un problema interno od esterno al velivolo. Elemento che avrebbe potuto essere indicativo, se valutato da un investigatore capace e che conoscesse bene il velivolo.
Il recupero successivo riportò in superficie circa l’80% della struttura, completa dei motori e di parte dell’arredamento interno, particolare importante in quanto permise di rilevare su di alcuni cuscini delle poltrone dell’aereo dei frammenti di plastica del rivestimento interno della cabina, proiettati con violenza dal settore di coda in direzione del settore di prua dell’aeromobile. Questo indicava inequivocabilmente che s’era verificata un’esplosione interna di un ordigno che aveva iniziato la decompressione esplosiva e la successiva parziale disintegrazione del lato destro del velivolo. Quindi c’era stata un’esplosione ma non all’esterno, bensì all’interno della cabina pressurizzata. Adesso si trattava di trovare il punto d’inizio della deflagrazione e le relative evidenze, quando ormai era accertato che si trattava d’un esplosivo militare del tipo T4, del quale bastano piccole quantità per provocare notevoli distruzioni sulle pareti di ambienti chiusi e per di più pressurizzati, coma la cabina di un aeromobile. Passarono altre mani ed altri uomini, finché a qualcuno venne in mente di difendere l’Aeronautica Militare ed i suoi alti Ufficiali rinviati a giudizio e chiamò a compiere una perizia tecnica due elementi di valore: un Investigatore straniero dell’AAIB inglese, Mr. Taylor ed un famoso progettista e costruttore di aeroplani, l’ingegner Ermanno Mazzocchi. Purtroppo però costoro non furono mai riconosciuti dalla Magistratura inquirente, che continuava a correre dietro ai fantasmi della “guerra aerea”.
Così mentre questi ultimi lavoravano seriamente, frugando tra le evidenze della ricostruzione del relitto (effettuata encomiabilmente ad iniziativa d’uno dei Periti della Magistratura dentro un hangar di Pratica di Mare), altri periti stavano combattendosi a suon di relazioni e contro relazioni che finirono per confondere ancor di più <personname productid="la Magistratura" w:st="on">la Magistratura</personname> inquirente.
Quando infine i due Periti di parte terminarono il loro lavoro, strettamente collegato con le evidenze della registrazione del CVR, si poté conoscere veramente ed inequivocabilmente ciò che era avvenuto sul volo Itavia 870: un ordigno, posto in un vano di servizio adiacente alla tazza del gabinetto della toilette di destra era scoppiato subito dopo che l’aereo aveva abbandonato in discesa la quota di crociera. Ordigno ovviamente attivato da una semplice capsula barometrica e da una piccola batteria, sapientemente programmata per innescare l’esplosione alla prima variazione di pressione in discesa che l’aeroplano avesse compiuto !
Ecco:- questo sarebbe stato il “Mistero di Ustica”:- era sufficiente andare a vedere all’aeroporto di Bologna chi aveva avuto accesso all’aeromobile e se questo era rimasto “sorvegliato efficacemente” e “controllato prima dell’imbarco dei passeggeri” con le tecniche antiterrorismo in vigore già da molti anni presso le Aviazioni Civile che già avevano avuto a che fare con eventi terroristici di vario tipo, da quello mediorientale a quello di tipo indipendentista (come nel Nord-Irlanda). Qui si trattava chiaramente d’un “affare” tutto italiano !
Troppo tempo era ormai passato e comunque la Magistratura e la Polizia non ritennero di doversi muovere capillarmente a fronte di queste evidenze, disponibili tra i rottami del relitto, tra i quali si poteva ancora identificare la parte della tazza del gabinetto deformata dall’esplosione interna ed il colore della scritta rossa Itavia posta sul portellone della stiva anteriore che fu proiettato all’esterno dalla sovrappressione dello scoppio e che fini per urtare la cappottatura esterna del motore destro dell’I-TIGI, lasciandovi tale impronta.
Prova che quelli registrati dal Radar di Roma il 27 Giugno 1980 fossero semplici “angeli” (tracce spurie), fu data dal volo effettuato con un DC 9 dello S. M. A. M. (in cabina di pilotaggio del quale c’era anche lo scrivente) che fu effettuato per esser intercettato alla stessa quota sulla posizione geografica del disastro da un F 104 (aereo di fine mappatura e supersonico, come si pretendeva fosse quello dei famosi “tre angeli”), il quale eseguendo l’identica ipotetica rotta del fantomatico aereo assalitore, fu invece sempre costantemente rilevato e registrato dallo stesso Radar, e non con “tracce” intermittenti come erano i “tre angeli”.
Ma torniamo al tema di questo scritto. Ecco dunque che alle 12.40 circa del 26 Giugno, il canale televisivo la7 per primo ci ha pensato a ristabilire il “cerimoniale”, con tanto di riprese delle parole di circostanza del Capo dello Stato, e con la presentatrice che annuncia che la sera successiva ci saremmo potuti sorbire un programma, ovviamente titolato “Il mistero di Ustica”, nel 30mo anniversario del disastro.
Disastro che, come al solito (seppur più velatamente), parlando di «battaglie aeree nei nostri cieli» viene immancabilmente attribuito nel migliore dei casi all’A. M. per “non aver saputo difendere i nostri cieli” e nel peggiore si sfoga continuando a gettar discredito genericamente sugli Uomini dell’Arma Azzurra, dal grado di Generale in giù, fino a collegare alcuni suicidi di sottufficiali dell’Arma e la morte in volo a Ramstein di alcuni piloti della Pattuglia acrobatica nazionale, attribuendo tutto al disastro di Ustica.
Così il 27 sera alle 21.30 mi sono accinto all’impresa di ascoltare (detto con il dovuto rispetto ai famigliari delle Vittime) quel Capofamiglia che si è prestato, forte del suo lutto plurimo, ad offrire alla regia continui sprazzi di memorie utili ad una ricostruzione dei fatti affettiva (ma di parte), che è stata contrastata solo per pochi secondi, da un Generale della riserva dell’Arma che veniva posta sotto accusa.
Ma il meglio doveva ancora avvenire con il programma serale di lunedì 28 Giugno, quando durante la rubrica “Chi l’ha visto?”, sorprendentemente si è cominciato a trattare del “mistero di Ustica”, senza che ciò fosse annunciato nel programma condotto da Federica Sciarelli. Giornalista che già alcuni mesi prima s’era impegnata a”ricostruire e commentare a modo suo” il disastro di Montagnalonga (aeroporto di Palermo Punta Raisi) del 5 Maggio 1972. Anche in quell’occasione la predetta s’era permessa di travisare i fatti tirando in ballo le risultanze dell’inchiesta tecnico-formale, inchiesta colpevole, a suo dire, di «non aver saputo indicare la “sua” verità su quell’evento». Per sua sfortuna, si dà il caso, che io sia ancora vivente e che nelle prime ore del 6 Maggio 1972 già stavo sul posto in qualità di Membro addetto alla “sicurezza volo” di quella Commissione, guidata dall’indimenticabile Generale Francesco Lino, che proprio in conseguenza di quel disastro pubblicò quel programma di ammodernamento degli aeroporti italiani e delle relative radioassistenze conosciuto all’epoca come “Rapporto Lino”.
In quelle funzioni, ho avuto modo di partecipare a tutte le fasi dei lavori di quella Commissione d’inchiesta e sono tuttora in grado di smentire tutto quanto è stato insinuato nel corso di quella puntata di “Chi l’ha visto?” [del 21/12/2009], come ho ampiamente documentato nel mio articolo di precisazione, pubblicato il 13/1/2010 sul sito web “aerohabitat.eu” - Dossier – rubrica “Aviation topics”, che mi ha ospitato, in quanto la RAI non si è mai resa disponibile a sentire la mia “campana” e quella di almeno altri due superstiti viventi di quella Commissione. Invito a confrontarsi pubblicamente che la responsabile della rubrica si è ben guardata dall’accettare. L’articolo, ancora consultabile sul sito citato, reca il titolo “IO … ERO SUL POSTO … a Montagnalonga …”.
In questo caso, io non c’ero, ma il giorno seguente mi preoccupai di intervistare un paio di colleghi Comandanti che la sera del 27 Giugno e all’incirca nelle stesse ore (poco prima delle 21.00 locali – ora legale) s’eran trovati a volare nella zona a Sud di Roma, uno proveniente da Tunisi e l’altro in viaggio per Atene ed oltre. Quest’ultimo (ancora vivente) aveva volato dal VOR di Ponza a quello di Caraffa di Catanzaro circa 1 ora prima delle 21.00, mentre il Collega proveniente con il volo da Tunisi aveva sorvolato il VOR di Palermo e proseguito per il VOR di Sorrento (Punta Campanella), sorvolando quindi Ustica e tutta la rotta fra i due punti circa 20 minuti prima della scomparsa del DC 9 dell’Itavia. Ebbene entrambi non avevano notato alcunché di anormale (visibilità ottima) in tutto quel settore del Tirreno, dove poi si è verificata la tragedia. Ma nessuno di essi fu mai sentito dal Magistrato inquirente, che aveva già intrapreso a battere un’altra pista …
Ma la “storia non finisce qui”, purtroppo:- ascoltando il velato suggerimento del Capo dello Stato ed alcuni rumori “viscerali” provenienti da altre fonti politiche (come il Senatore a vita Cossiga) ecco che su tali ed altre … pressioni, anche il Ministro della Giustizia Angelino Alfano si lascia coinvolgere dal rigurgito giustizialista di certa Magistratura e due giorni dopo si presta a firmare ben quattro rogatorie internazionali (di cui dice di non conoscere il testo, probabilmente per “non condividerlo”) giunte sul suo tavolo ad opera di due P. M. della Procura di Roma; rogatorie indirizzate a Stati Uniti, Francia (che novità !) e, stavolta non si sa perché, anche a Germania e Belgio !
Tutto ciò sebbene che nel corso del programma “Chi l’ha visto?” fosse stato chiamato in causa da Washington anche il noto opinionista E. Luttwak, il quale ha saputo replicare alle insinuazioni sul “mistero di Ustica” ricordando che in Italia è sempre di moda utilizzare il verbo “usticare”, per indicare le annuali commemorazioni e rievocazioni di certi scenari, dovuti al fatto incontrovertibile che il caso del disastro di Ustica sia finito nelle mani “impreparate alla bisogna” della Magistratura italiana, soltanto perché all’epoca in Italia non esisteva ancora un Ente permanente, competente ed indipendente incaricato di effettuare le investigazioni sugli incidenti aerei (come esisteva nei Paesi più aeronauticamente avanzati) ed invece si dovesse ancora ricorrere (ex art 827 dell’allora vigente Codice della Navigazione – Parte Aerea) all’intervento di Commissioni formate da membri non sempre “esperti” e non sempre “all’altezza del compito”. Senza contare il fatto che l’allora Ministero dei Trasporti e dell’Aviazione Civile non era in grado di finanziare prontamente il recupero del relitto del DC 9 dalla posizione in cui era stato rilevato in fondo al Mar Tirreno. Ragion per cui, la Commissione dell’epoca, con l’ausilio della presenza di un membro tecnico, ingegnere del Registro Aeronautico Italiano, poté soltanto concludere che il DC 9 era precipitato a causa d’una esplosione indeterminata di natura esterna o interna al velivolo. E avendo a disposizione il solo tracciato registrato dal Radar civile di Roma, bisogna riconoscere che ci andò abbastanza vicino. Anche se da lì in poi si scatenò la “psicosi” della “battaglia aerea” … per abbattere l’aereo di Gheddafi e di cui il DC 9 dell’Itavia – volo 870 del 27 Giugno 1980 - sarebbe stato vittima “involontaria” !
Ed invece il DC 9 fu una vittima “volontaria” e preordinata da parte di chi ordinò e da parte di chi effettuò, durante il transito dell’aereo allo scalo a Bologna, la semplice operazione di far entrare un pacchettino contenete l’esplosivo, la capsula barometrica e la piccola batteria nel vano laterale della toilette di destra dell’aeromobile.
Quindi meglio avrebbero fatto il Presidente della Repubblica ed il Ministro ad ordinare rispettivamente alla Magistratura ed alla P. G. la ripresa seria e minuziosa delle indagini all’aeroporto di Bologna e agli interessi collegati con l’impresa titolare di quel volo, impresa che a seguito di quel fatto fu fermata e fallì miseramente.